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Matteo Ricci, quattro ragioni per cui va difeso (nonostante Ricci)

Appare pericoloso e irricevibile il fatto che i pm, per individuare il beneficio e l’utilità che il candidato avrebbe ricavato dai suoi asseriti comportamenti illegali, citino il consenso politico
di Daniele Capezzone venerdì 25 luglio 2025

3' di lettura

Sia chiaro: Matteo Ricci il nostro garantismo non se lo meriterebbe proprio. Parlano chiaro le sue sortite giustizia liste degli anni e dei mesi passati, contro chiunque – pur presunto innocente come da Costituzione – si sia trovato sotto inchiesta. E troppe volte Ricci era regolarmente lì pronto a partecipare alla lapidazione del malcapitato. Ed è ancora più eloquente il fatto che, proprio mentre sta in mezzo alla tenaglia tra procura e grillini, Ricci si sia immediatamente messo a sparacchiare contro la destra, come se a tenerlo sulla graticola fossero i suoi avversari politici. Starei per dire: dovrebbe essere assolto per non aver compreso il fatto.

Ciò detto, siccome da queste parti le convinzioni valgono più delle convenienze e i princìpi più della propaganda, c’è comunque un punto che va messo a verbale (nonostante Ricci). Magari altri aspetti dell’inchiesta si riveleranno robusti e sorretti da prove solide. Ma appare pericoloso e irricevibile il fatto che i pm, per individuare il beneficio e l’utilità che Ricci avrebbe ricavato dai suoi asseriti comportamenti illegali, citino il consenso politico. Quindi – sintetizzo con parole mie – le discutibili scelte del sindaco (ad avviso della procura da configurare come illegali) avrebbero comportato «un beneficio in termini di popolarità e consenso». Qualcosa del genere fu a suo tempo teorizzato anche contro Matteo Salvini, quando ci fu chi sostenne che la sua linea sul contrasto all’immigrazione clandestina fosse motivata da ragioni di consenso.

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Ecco: è il caso di dire – chiunque ne sia oggetto, a destra come a sinistra – che un ragionamento del genere in bocca a un magistrato è improprio prim’ancora che inaccettabile. Primo: non tocca alle toghe sindacare il fatto che un politico cerchi il consenso. Secondo: la ricerca del consenso è connaturata e consustanziale all’attività politica. Terzo: un magistrato deve valutare se ci sia stata o meno una violazione di legge. Ma immaginare una forma di beneficio non patrimoniale così estesa, interpretata in modo tanto largo da includere la popolarità e il consenso o un ipotetico ritorno elettorale, è una forzatura logica abnorme.

Quarto: questo genere di valutazioni ci porta in un territorio di pericolosa arbitrarietà, di giudizio molto soggettivo, di discrezionalità dilatata. Starei per dire che si entra in un ambito di giudizio politico: ma quel giudizio – per definizione – spetta agli elettori, mica alle toghe. Sono i cittadini a dover decidere, in base ai loro personali criteri, se un’azione politico-amministrativa sia stata efficace o meno, e se dunque la ricerca che un politico ha fatto del consenso sia stata “buona” o “cattiva”, cioè da premiare o da punire elettoralmente.

Ecco perché – cosa che i compagni non capiranno mai – converrebbe a tutti difendere l’autonomia e la libertà della politica. Un conto è perseguire i reati: e questa è la (sacrosanta) attività che spetta ai magistrati. Altro conto sarebbe invece avallare un anomalo e irricevibile sindacato giudiziario sull’attività politica e sulla ricerca del consenso elettorale. Ricci e quelli come Ricci non farebbero mai una battaglia del genere a beneficio di un loro avversario. Noi – che siamo garantisti per davvero – lo siamo sempre: anche per Ricci, e – direi – nonostante Ricci.

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