Giorgia Meloni, il delirio sul "Fatto Quotidiano": "Chi la vota ha il cervello rettiliano"

di Luigi Di Gregoriolunedì 28 luglio 2025
Giorgia Meloni, il delirio sul "Fatto Quotidiano": "Chi la vota ha il cervello rettiliano"
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Capita che a sinistra, quando non si riesce a spiegare il consenso popolare altrui, si cerchi rifugio nelle neuroscienze. O meglio, in una loro versione semplificata, un po’ esoterica e un po’ consolatoria. È successo di nuovo giorni fa, sulle pagine del Fatto Quotidiano, dove si attribuisce la forza di Giorgia Meloni a una reazione primitiva del nostro cervello, a partire dal cosiddetto “cervello rettiliano”. In sostanza, Meloni convincerebbe gli elettori perché attiva un riflesso atavico, una spinta inconscia di sopravvivenza. E quindi – è il sottinteso – chi la vota non pensa. Reagisce, come un rettile, sulla base di impulsi primitivi. È una tesi scientificamente fragile, culturalmente arrogante e politicamente miope.

Fragile, perché si basa su una metafora ormai superata, ossia la tripartizione del cervello (rettiliano, limbico, neocorticale) proposta da Paul MacLean negli anni Sessanta. Le neuroscienze contemporanee hanno ampiamente dimostrato che non esistono compartimenti stagni, e che le decisioni – anche quelle politiche – sono il frutto di processi integrati, in cui emozione e cognizione interagiscono. Come ha chiarito il neuroscienziato Joseph LeDoux, le strutture cerebrali coinvolte nelle emozioni (come l’amigdala) non operano isolate, ma dialogano costantemente con le aree della corteccia (cognizione). E come ha dimostrato Antonio Damasio, l’emozione non è l’antitesi della ragione, mala sua condizione necessaria. Senza emozione, non prendiamo decisioni. Neppure quelle più razionali. Dunque, le emozioni contano? Sì, sempre, non solo per Meloni.

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Anche quando scegliamo un dentifricio. Arrogante, perché dietro questa lettura si nasconde il vecchio pregiudizio per cui se il popolo vota a destra, è per paura o ignoranza, mentre se vota a sinistra, lo fa con consapevolezza. È l’illusione – molto diffusa in certi ambienti progressisti – che la ragione stia sempre da una parte sola. E che il consenso popolare, quando non si allinea alle aspettative dell’élite culturale, debba essere spiegato con riflessi condizionati, ignoranza o fallimenti cognitivi. Ma, soprattutto, è una tesi politicamente miope. Perché dimentica che tutti i leader di successo sanno parlare all’emotività degli elettori. Lo faceva Berlusconi, lo ha fatto Renzi nella stagione del 40%, lo ha fatto Conte durante la pandemia, lo fa – in parte – Elly Schlein quando parla a una certa base identitaria e valoriale. E, naturalmente, lo fa Giorgia Meloni. Perché sa come “funzionano” le persone, e come costruire una comunicazione efficace, che riesca a raggiungerle davvero.

In altre parole, Meloni non è un’eccezione, è un caso riuscito. Come ce ne sono stati – e ce ne saranno – a destra e a sinistra. E chi continua a leggere il suo successo come una regressione istintiva degli elettori anziché come una lezione comunicativa del leader, non sbaglia analisi. Semplicemente, si ostina a non accettare la realtà. Il punto non è che il “cervello emotivo” voti Meloni. Il punto è che vota, sempre. Vota chi lo sa ascoltare, chi sa semplificare senza banalizzare, chi parla al cuore senza dimenticare la testa. Ignorarlo significa rinunciare a capire la politica per quello che è davvero: una relazione tra emozioni, identità e visione del mondo. Chi la riduce a un riflesso primitivo, forse non conosce gli elettori. O forse non li stima abbastanza.

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