Nel mondo globalizzato ogni fatto ha una cassa di risonanza assoluta. E il caso dell’orrenda morte dell’attivista-influencer Charlie Kirk non è uscita da questo schema. Parliamo di libertà di parola, di confronto, ma principalmente di agibilità politica. Per questo il secondo dopo lo sparo di Tyler Robinson non solo gli Usa, ma tutta l’Europa sono state attraversate da un fremito di polemiche. L’Italia non è stata da meno. Una Nazione la nostra che conosce da vicino la violenza politica e che ha visto dall’alba dei tempi, da Romolo e Remo per intenderci, episodi di vera e propria guerra civile flagellare gli italiani in nuce e quelli post 1861. Ma restiamo connessi ai giorni nostri. In tal senso i gruppi parlamentari Camera e Senato di Fratelli d’Italia hanno preparato un documento, di cui siamo entrati in possesso, dal titolo “Chi soffia sul fuoco dell’odio politico.
Dossier” che fotografa la situazione nei giorni dell’assassinio Kirk. Lo scritto, composto da otto pagine, è diviso in quattro capitoli e affronta le implicazioni riguardanti l’aggressività fisica e verbale del dibattito politico alle nostre latitudini. In primis, possiamo leggere, del «ruolo chiave» svolto da Charlie Kirk nella campagna elettorale di Donald Trump. Successivamente lo scritto si concentra sulle reazioni alla morte proprio di quest’ultimo. Vengono evidenziati i commenti degli utenti sotto i post prodotti dalla testata Fanpage - «Kirk è morto godo», «una m...a in meno, grazie» e «quando si dice che se ne vanno sempre i migliori, non era questo il caso» giusto per darvi il tenore - e così viene sottolineato come «il fatto che i leader dei partiti di sinistra in Italia (...) abbiano scelto di tacere o di intervenire solo dopo molte ore dai fatti per condannare il brutale assassinio di un attivista di destra negli Usa, crea terreno fertile per proliferazione di commenti vergognosi sui canali social punto di riferimento della sinistra».
Ma la chiave della testimonianza è legata agli episodi di violenza contro Fdi.
Sono esattamente 28 quelli riportati e riguardano gli ultimi 36 mesi. Entriamo nel merito. Settembre 2022 «a Milano è apparso un manifesto con l’immagine di Giorgia Meloni impiccata, accompagnato dalla scritta “L’appesa”». A novembre, sempre dello stesso anno, «aggressione alla Sapienza ai danni dei ragazzi di Azione Universitaria durante un banchetto informativo», la minaccia? «Sei di Fratelli d’Italia? Dovrei accoltellarti». Nel 2023 come dimenticare l’assalto al banchetto di AU in quel di Bologna. Sempre nella città felsinea lo scorso anno un militante di Fdi, a giugno, venne aggredito in autogrill mentre rientrava da un comizio del presidente del Consiglio. «Uno- degli aggressori, ndr - indossava una maglietta del movimento di sinistra Osa - Opposizione Studentesca d’Alternativa». Negli stessi giorni uscì «l’inchiesta di Fanpage “Gioventù Meloniana”. La colonna sonora scelta per la presentazione con Roberto Saviano è la canzone della band di sinistra 99 Posse: “Ho un rigurgito antifascista, se vedo un punto nero gli sparo a vista”». C’è anche spazio per il deputato dem Arturo Scotto che a marzo 2025, durante le polemiche sul manifesto di Ventotene, ha definito il premier «un capo ultras fuori dalla Costituzione». Oppure Alessandro Di Battista che «in Tv ha più volte detto che Giorgia Meloni “ha le mani sporche del sangue palestinese”». La posizione del partito cardine della maggioranza? «Le parole e le azioni hanno un peso, e ognuno deve assumersi le proprie responsabilità (...). È il momento di smettere di soffiare irresponsabilmente sul fuoco dell’odio politico e di condannare chiunque utilizzi toni e azioni violente per silenziare gli avversari», leggiamo a margine del documento. Nella consapevolezza che la propria visione del mondo non deve cedere, altrimenti si creerebbero spaccature incapaci di far uscire la politica dal fatalismo in cui sembra essersi infilata, consapevolmente, da decenni.