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Orbán dal Papa e da Meloni mentre l’opposizione strilla

Il premier ungherese dice che la Ue "non conta nulla" e la sinistra insorge Con Leone XIV sintonia sulla famiglia, con la premier sfida il Green deal
di Fausto Cariotimartedì 28 ottobre 2025
Orbán dal Papa e da Meloni mentre l’opposizione strilla

4' di lettura

A sinistra si grida allo scandalo per la presenza di Viktor Orbán a Roma e si chiede a Giorgia Meloni di «mettere il veto» nei confronti del presidente ungherese, di dissociarsi dalle sue «pericolose affermazioni». Ma le porte dei palazzi della capitale sono aperte per lui, su entrambe le sponde del Tevere. E dentro trova chi è pronto ad ascoltarlo. Con Leone XIV quella di ieri è stata la prima udienza, ma negli ultimi anni Orbán si è visto spesso in Vaticano per incontrare papa Francesco, le ultime volte nel 2022 e nel 2024, intramezzate dal viaggio apostolico di Bergoglio a Budapest. Con la premier il rapporto è forte quanto basta da resistere alle divergenze sull’Ucraina, e le amicizie comuni fanno il resto: la prossima settimana Orbán sarà a Washington da Donald Trump, e ieri lui e Meloni avevano da festeggiare la vittoria di Javier Milei in Argentina: un passo avanti per la rete dei leader della destra mondiale.

In Vaticano cambiano i pontefici, ma Orbán resta un interlocutore imprescindibile. Negli annuari della Santa Sede l’Ungheria è fotografata come un Paese con poco meno di 6 milioni di cattolici, il 61% della popolazione, oltre duemila parrocchie e 37 vescovi. E la politica del governo di Budapest è compatibile con quella della Chiesa, al contrario di quanto racconti un certo cattolicesimo progressista. Si è visto anche ieri mattina. Il dialogo tra il premier ungherese e il papa era di carattere privato, filtra il poco che Orbán ha scritto su Internet al termine dell’udienza: «Ho chiesto al Santo Padre di sostenere gli sforzi dell’Ungheria contro la guerra». Si sa di più sull’incontro che ha avuto subito dopo nella segreteria di Stato vaticana con il cardinale Pietro Parolin e con monsignor Paul Richard Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati. Un colloquio «cordiale», raccontano dalla Santa Sede, nel quale «sono state sottolineate le solide relazioni bilaterali e l’apprezzamento per l’impegno della Chiesa cattolica nel promuovere lo sviluppo sociale e il benessere della comunità ungherese, con particolare attenzione al ruolo della famiglia, alla formazione e al futuro dei giovani, nonché all’importanza della tutela delle comunità cristiane più vulnerabili». Il passaggio chiave è il riferimento alla famiglia. Nei giorni scorsi Prevost ha ripetuto che essa deve essere «come l’ha voluta il Creatore», ossia fondata sull’unione tra un uomo e una donna, e su questo la sintonia con Budapest è forte.

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Orbán e Parolin si sono confrontati anche sull’Ucraina e il Medio Oriente, e si sa che il premier ungherese è su posizioni pacifiste che piacciono a Putin e non dispiacciono in Vaticano. Prima di varcare le Mura leonine, aveva spiegato la propria posizione in un messaggio sul web. Il suo governo vuole «rimanere fuori dalla febbre della guerra» e si rifiuta di «nuotare nella corrente mainstream di Bruxelles», perché la Ue «non conta nulla», si trova «fuori dai giochi», avendo appaltato la possibilità di risolvere la guerra «agli americani e ai russi». Trump, deluso da Putin, ha indurito l’approccio nei confronti di Mosca, ma il leader ungherese si ripromette di fargli cambiare idea: «Sbaglia su Putin, andrò da lui per fargli togliere le sanzioni alla Russia», annuncia ai cronisti di Messaggero e Repubblica. Si dice anche convinto che il vertice tra Trump e Putin a Budapest si faccia, sebbene la data non sia stata decisa.

Nell’ora di colloquio che ha avuto nel pomeriggio con Meloni, riferiscono a palazzo Chigi, Orbán ha discusso di attualità internazionale, «con particolare riferimento alla situazione in Ucraina, agli sviluppi in Medio Oriente e all’agenda europea», incluse le iniziative «per una gestione efficace e innovativa dei flussi migratori». Su questa la sintonia tra i due non è una novità, e prosegue in vista della definizione della lista europea dei Paesi extracomunitari sicuri, i cui cittadini potranno essere rimpatriati con procedure semplificate. E poi c’è l’industria. «Il punto importante è il futuro dell’economia europea, perché sulla guerra resta ben poco da fare», dice Orbán. C’è una «transizione green» da riscrivere, lui e Meloni considerano la direttiva sulle emissioni varata nella scorsa legislatura europea una minaccia per le imprese. E nei dossier al centro della loro discussione spuntano anche le «possibili sinergie» tra Italia e Ungheria nell’industria della difesa, approfittando del programma europeo Safe, che consente di ottenere prestiti per l’approvvigionamento militare congiunto, purché sia frutto di un accordo tra almeno due Stati dell’Unione. Tutto questo mentre a sinistra chiedono alla premier di dissociarsi da Orbán e da quella frase sulla Ue che «non conta nulla». Serafico, Antonio Tajani risponde: «Non vedo tutta questa agitazione perché il presidente del consiglio incontra il presidente del consiglio di un altro Stato. Non significa che abbia la stessa posizione e faccia le stesse cose. Orbán è andato pure dal Papa».

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