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Romano Prodi vuole un nuovo partito: Pd e Schlein non più riformabili

di Elisa Calessi giovedì 30 ottobre 2025

3' di lettura

Ogni tanto, nel Pd, si ama citare il motto teologico “extra ecclesiam, nulla salus”. Per dire, a chi è tentato da scissioni, che fuori dal partito, ci si perde. Parafrasando quel detto, si potrebbe dire che Romano Prodi si è convinto del contrario: “extra ecclesiam, una salus”. La sola salvezza è fuori dalla “chiesa” (il Pd). Il professore, insomma, si è convinto che il Pd ormai non è più “riformabile”. Ha imboccato la strada di un partito di sinistra e non si cambia. Ma così, da solo, non basta. Serve un soggetto esterno, di centro, riformista, che parli a quei pezzi di società imprese, ceto medio, cattolici a cui il Pd, così come è diventato, non riesce più a parlare. Diversamente, non sarà più possibile costruire quell’alternativa al centrodestra che il Professore considera, ora come ora, “scarsa”. Come ha detto venerdì sera a Otto e mezzo, lasciando di stucco tanti del Pd: «La destra», ha detto, «perde solo se c’è un’alternativa di governo con programmi ed obiettivi precisi. Per ora l’alternativa è scarsa, non ha la forza e la visione futura per dire di essere pronti a governare». E, a differenza di quanto sostenuto dalla segretaria del Pd nel suo intervento al congresso del Pse, ha messo in chiaro che, a suo avviso, «non esiste un problema di alternativa al sistema democratico».

Certo, pesa anche il fatto che con Elly Schlein il rapporto non è mai decollato. Come fa con tutti i notabili del Pd, Schlein è cortese, ma non chiede consigli. E così Prodi si è un po’ allontanato. Ha provato, più volte, a esprimere giudizi. Prima privatamente, poi in pubblico. Affettuosamente severi, preoccupati, sempre più allarmati. Ma, ogni volta, senza produrre reazione. E così, da un po’ di tempo, si è convinto che non c’è molto da fare: il Pd ha deciso di abbandonare la vocazione a essere partito nazionale, maggioritario. Dunque, è il ragionamento di Prodi, serve che nasca qualcosa di esterno al Pd. Che poi è un po’ un ritorno all’antico, all’Ulivo, anzi, prima ancora, alla Margherita, creatura che proprio Prodi inizialmente soffrì. Con chi gli ha parlato di recente, ha ribadito questo ragionamento: il Pd vada per la sua strada imboccata, qualcuno si preoccupi piuttosto di creare qualcosa fuori. Lo scorso week-end, quando a Milano si sono dati appuntamenti i riformisti dem, Prodi, tramite Sandra Zampa, sua fedelissima, ora senatrice del Pd, non ha mancato di far avere la sua benedizione. Ma l’impressione che chi lo sente ha ricavato è che, nonostante apprezzi questi tentativi e certamente si senta più vicino a Delrio e Guerini che non a chi ora guida il Pd, il Professore non ritenga che si possa cambiare rotta al Pd.

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Non a caso, in questi mesi, ha fatto sentire la sua vicinanza a tutti i tentativi di costruire qualcosa fuori dal Pd. A gennaio intervenne all’evento dei cattolici dem, riuniti da Delrio sempre a Milano. Si sente frequentemente con Ernesto Ruffini, ex direttore dell’Agenzia delle Entrate, che prova a raccogliere il mondo dei cattolici democratici attraverso i comitati Più Uno. Non che i suoi giudizi siano passati inosservati. La cerchia attorno alla segretaria del Pd non ha commentato, proprio per non dare peso alle parole dell’ex premier, ma tra le seconde e terze file si ammette che sì, il professore qualche ragione ce l’ha. Anzi, diciamolo pure, ha colto il punto di debolezza della costruzione del centrosinistra.

Ieri, intervenendo a Circo Massimo, condotto da Massimo Giannini su Nove, Prodi è tornato sul Pd, incoraggiando il dibattito interno: «È opportuno il dibattito che si è avviato dopo l’iniziativa di Milano. Ora si passi ai fatti con una proposta alternativa e di governo. La leadership», ha continuato, «si conquista dicendo ai cittadini “voglio fare questo, questo e questo” e bisogna avere un ampio spettro di interessi. Quello che sta avvenendo nel Pd (il proliferare di iniziative di aree, ndr) è estremamente interessante, finalmente si comincia ad avere un’articolazione, delle posizioni e delle discussioni, anche se non si è ancora arrivati a definire i programmi. Noi facemmo la Fabbrica del programma: erano decine di migliaia di persone che sono state chiamate. La democrazia vuol dire popolo», ha detto. «Se voglio mettere in discussione Schlein? Lasciamo stare queste cose...».

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