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Vince Giorgia, brinda Silvio

di Mario Sechi venerdì 31 ottobre 2025

3' di lettura

Vince Meloni, brinda Berlusconi. I romanzi politici riservano i colpi di scena migliori quando tutti i giochi sembrano chiusi e i protagonisti destinati a ingiallire nelle pagine del libro, fino all’oblio. È in quel momento che la storia gioca a dadi, poi apre la scatola magica e voilà, accade l’impensabile: dopo 30 anni, la Cassazione mette la parola fine sulla maxiballa di Berlusconi mafioso; dopo 30 anni, il Parlamento vara la separazione delle carriere dei magistrati. Il tempo è spesso in ritardo, ma è galantuomo e al giro di giostra del 2025 ha vinto lui, Silvio Berlusconi. Con questi due passaggi si chiude un’epoca. La memoria riannoda i fili di un’era fa, dal «resistere, resistere, resistere» del procuratore capo di Milano Francesco Saverio Borrelli, fino al commento di Marina Berlusconi che ieri ha suggellato una vicenda umana e politica intensa come poche nella storia italiana: «Ci sono vittorie che arrivano tardi, forse troppo tardi, ma che restano grandi e decisive.

Quella di oggi è la vittoria di mio padre, Silvio Berlusconi. Sono la sua forza, il suo coraggio, la sua determinazione e, purtroppo, anche la sua sofferenza, ad aver reso possibile una giornata che segna un passo avanti importante per la democrazia e per la verità in questo Paese». Berlusconi aveva individuato fin dal 1994 il problema di una nazione che non riusciva a fare il balzo in avanti nel mondo nuovo, dopo il crollo del Muro di Berlino. Cercò di importare in Italia le idee del reaganismo sull’economia e lo Stato, riuscì con successo a dare l’alternanza a un sistema politico che durante la Guerra Fredda non poteva permettersela, impedì ai postcomunisti, con la sua fulminea “discesa in campo”, di governare l’Italia mentre in tutta Europa i complici del socialismo reale venivano portati di fronte al tribunale della storia. Sono meriti enormi e quando la polvere della partigianeria e dell’odio si sarà posata, il bilancio della sua azione politica sarà veritiero, onesto, chiaro sulle sue idee e intuizioni.

Il sipario non è chiuso, mancano ancora parecchie scene al “the end” e ai titoli di coda: la riforma votata dal Parlamento deve affrontare il rush finale del referendum e le forze dell’ancien régime giustizialista sono tutte in movimento. La magistratura e le alte burocrazie, quel potere invisibile, inamovibile e irresponsabile che frenò per decenni l’azione dei governi di Berlusconi, è la stessa alleanza di interessi che oggi tenta di logorare la maggioranza che sostiene il governo di Giorgia Meloni. Il piccolo establishment che per decenni ha spolpato il bilancio dello Stato, fino all’ultima frontiera del populismo contabile, l’apoteosi del superbonus e il bancomat del reddito di cittadinanza, soldi per fare clientes. La decisione della Corte dei Conti sul Ponte di Messina è solo la punta dell’iceberg. Se mettiamo in fila gli episodi, si rivela netta la trama di chi vuole impedire all’Italia di uscire dal ricatto giudiziario, liberarsi dalle fauci del burosauro, scaricare la zavorra che ha impedito alla nazione di svilupparsi, tornare a investire, scegliere liberamente il proprio destino. Non vinceranno, come ha spiegato Giorgia Meloni è il centrodestra a volere il referendum, a chiamare gli italiani al voto, la storia ha ribaltato le parti, sono dinosauri sconfitti dalla democrazia.

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