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L'incapacità dei compagni di criticare il comunismo

Il caso-Fiano e l'imbarazzo diffuso a sinistra: ciò che proprio non riescono a dire
di Antonio Socci sabato 1 novembre 2025

3' di lettura

«L’irruzione mezz’ora dopo l’inizio dell’incontro, urla e slogan e lo striscione: “Fuori i sionisti dalle università” con la firma del Fronte della gioventù Comunista» (RaiNews). Così, all’Università di Venezia, hanno impedito di parlare sul Medio Oriente a Emanuele Fiano, ex deputato del Pd, il quale dopo, fra l’altro, ha dichiarato: «Quello di chi ha contestato, è stato un atteggiamento fascista».

Il presidente del Senato Ignazio La Russa ha commentato: «A Emanuele Fiano a cui esprimo solidarietà e con cui ho sempre avuto un simpatico rapporto personale, mi permetto di segnalare che almeno in questo caso citare il fascismo come principio guida per i proPal è un po’ azzardato. Forse riservare al fascismo le indubbie colpe storiche verso gli ebrei italiani e chiamare invece col loro nome le idee che ispirano oggi i proPal sarebbe più onesto e opportuno».

Ma a sinistra c’è sempre molto imbarazzo nell’uso della parola “comunisti” (e comunismo) per dei fatti deplorevoli. È difficile perfino per Fiano che è un socialdemocratico. Perché il Pd è comunque erede del Pci. È la storia lunga dei partiti di sinistra, la storia di uno strappo che non c’è mai stato veramente.

In genere si giustificano dicendo che i comunisti italiani non si possono assimilare ai regimi comunisti dell’Est. Ma il Pci è stato legato a doppio filo a quei regimi e perfino Enrico Berlinguer, che viene sempre evocato come simbolo della “diversità” italiana, in realtà è sempre stato un comunista. Così si è sempre identificato. Cresciuto come pupillo di Togliatti - che era di casa a Mosca - anche nella sua maturità, gli anni della segreteria del Pci, restò un comunista a 24 carati.

Tutti ricordano la dichiarazione del 1976 in cui Berlinguer affermava «mi sento più sicuro stando di qua, ma» aggiungeva subito «vedo che anche di qua ci sono seri tentativi per limitare la nostra autonomia». Era una posizione tattica, non poteva certo chiedere l’uscita dell’Italia dalla Nato. Del resto qualche mese prima «non disdegnava riconoscimenti alla asserita superiorità etica dei paesi socialisti su quelli dominati dai disvalori borghesi» (Pigi Battista).

Ecco le testuali parole di Berlinguer: «È quasi universalmente riconosciuto che in questi Paesi esiste un clima morale superiore, mentre le società capitalistiche sono sempre più colpite da un decadimento di idealità e valori etici e da processi sempre più ampi di corruzione e disgregazione».

Un “clima morale superiore”? Parlava di regimi marci, dominati da ottuse nomenklature comuniste in sfacelo, società ed economie in putrefazione, regimi disumani. E lo sapeva, ma ribadiva la pretesa superiorità morale comunista.
È la presunta (e inesistente) nobiltà del comunismo che fa insorgere i suoi eredi anche oggi, quando lo si accosta agli altri totalitarismi del Novecento o a fatti orribili.

Si invoca la nobiltà dei suoi ideali, come se gli altri totalitarismi non avessero strumentalizzato anch’essi delle parole nobili, disonorandole, per giustificare i propri crimini.

Del resto non è Marx che usa categorie morali e ideali per legittimare la propria costruzione teorica (casomai erano i socialisti utopisti da lui avversati). Marx aveva la pretesa di elaborare un pensiero economico scientifico.

Insiste sul fatto che il suo socialismo è scientifico, non morale o idealistico.
La sinistra avrebbe un solo modo per realizzare un vero strappo dalla storia comunista: riconoscere che avevano ragione gli anticomunisti e che è stato bene che abbiano vinto loro e non il Pci.

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