Il seguito della devastazione della redazione della Stampa è la sagra dell’ipocrisia. C’è un colpevole accertato, ed è il centro sociale Askatasuna. Le telecamere hanno ripreso i compagni pro -Pal: alcuni hanno il volto scoperto, la Digos li conosce, già venerdì sera si sapeva che una trentina di loro viene dal centro sociale al numero 47 di corso Regina Margherita. Il sentimento d’impunità è tale che l’irruzione è stata rivendicata con orgoglio dal Collettivo universitario autonomo, tutt’uno con Askatasuna: stesso ambiente, stesse facce. Trentasei militanti sono stati identificati, vedremo con quali guanti li tratterà la procura.
Parlando col quotidiano torinese, Matteo Piantedosi ha toccato il nervo scoperto: «C’è un focolaio di violenza e disordine rappresentato dal centro sociale Askatasuna. Credo non sia più il tempo per comportamenti accondiscendenti e ambigui nei confronti di questi squadristi». Il nervo scoperto appartiene alla sinistra, l’accondiscendenza e l’ambiguità pure. Si possono trovare altri nomi: paura, vigliaccheria, masochismo, sindrome di Stoccolma, la reazione malata che porta la vittima a sviluppare affetto ed empatia per chi la maltratta. La sostanza non cambia: Askatasuna deve essere chiuso, ma a sinistra continuano a difenderlo. Pure dopo averlo visto sfregiare in quel modo il giornale di riferimento del progressismo piemontese. Cento volte avrebbero chiesto di radere al suolo quell’edificio e arrestarne gli occupanti, se a commettere la metà di quelle violenze fossero stati idioti con la testa rasata. Invece sono i loro idioti, quelli ai quali chiedono i voti, e questo fa tutta la differenza del mondo.
C’è la destra, certo, che ne invoca lo smantellamento. Lo fa Antonio Tajani, non da ieri: «Ci sono state tante manifestazioni di Forza Italia per chiedere che vada chiuso questo centro sociale anarchico, fonte costante di aggressione e violenza». Lo fa Maurizio Gasparri, lo fa la Lega che vuole «sgomberi immediati, a partire dal famigerato Askatasuna». Lo fa Fratelli d’Italia, che mesi fa ha presentato ricorso contro la delibera con cui il Comune pretende di legalizzare l’occupazione dell’immobile. Ma per trovare un progressista che lo dica bisogna cercarlo dentro Azione, dove la torinese Daniela Ruffino si augura che Askatasuna sia chiuso «con la massima urgenza».
Tutti gli altri, quelli a sinistra del partitino di Carlo Calenda, si fermano alla solidarietà alla Stampa, bene attenti a non fare un passo in più. Askatasuna per loro è innominabile, come Keyser Söze ne I soliti sospetti. Elly Schlein offre alla causa il suo pensierino: «Piena solidarietà a La Stampa per la violenta e inaccettabile irruzione che ha subito. Ogni sede di giornale è un presidio fondamentale di libertà e di democrazia». Idem Giuseppe Conte: «Atto vile e inqualificabile». Giusto, bravi: e con i responsabili cosa bisogna fare? Silenzio assenso: nulla, li lasciamo lì, liberi e felici di continuare.
Angelo Bonelli racconta che «non c’è alcuna differenza tra l’assalto alla sede della Cgil del 9 ottobre 2021, ad opera di esponenti neofascisti, e quello alla redazione de La Stampa». Eppure qualche differenza deve scorgerla, se allora diceva che era necessario «sciogliere le organizzazioni neofasciste che hanno aizzato le folle» e oggi si guarda bene dal chiedere altrettanto per i compagni di Askatasuna, che neanche cita.
Ne parla invece Alessandra Algostino, ordinaria di Diritto costituzionale e membro del “comitato dei garanti” nell’operazione voluta dal sindaco Stefano Lo Russo per riconoscere Askatasuna come «bene comune» della città. È anche una dei docenti progressisti che hanno firmato l’appello contro l’espulsione dell’imam Mohamed Shahin, quello che si era detto «d’accordo» con la strage del 7 ottobre e in nome del quale è stata assaltatala sede del giornale. Algostino spiega che non si deve arrivare, «in maniera strumentale, all’idea che Askatasuna, come centro sociale, sia il cardine di un’associazione per delinquere». Per questo il piano del sindaco andrà avanti: «È un tentativo coraggioso in cui crediamo molto». Nulla cambia, insomma. L’incidente può considerarsi archiviato, tutto prosegue come prima. Askatasuna sarà proclamato patrimonio della collettività torinese, e chissà che begli articoli gli dedicherà La Stampa e quanti applausi si leveranno da sinistra.




