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Zelensky a Roma, ora Meloni è il ponte tra Kiev e Trump

Un’ora e mezza di colloquio a Palazzo Chigi. La risposta del leader ucraino a Washington: "Elezioni entro tre mesi se sarà garantita la sicurezza". Presto una contro-proposta di pace
di Fausto Carioti mercoledì 10 dicembre 2025

4' di lettura

Il giorno in cui Donald Trump accusa i leader europei di essere «deboli» e dice che Volodymyr Zelensky deve «darsi una mossa», accettare il piano di pace proposto da Washington e richiamare i suoi connazionali alle urne, il presidente ucraino è a Roma. A palazzo Chigi lo attende Giorgia Meloni, mediatrice di fatto tra lui e il presidente americano: i due si confrontano per un’ora e mezza. Prima, in mattinata, c’è stato l’incontro privato con Leone XIV a Castel Gandolfo: Zelensky coglie l’occasione per invitare il papa in Ucraina, spiega che «sarebbe un forte segnale di sostegno al nostro popolo».

Nelle stesse ore, a Kiev, si lavora alla controproposta al piano di pace di Trump, che potrebbe essere definita oggi. Zelensky fa sapere che conterrà venti punti, rispetto ai ventotto del testo americano: «I punti anti-ucraini sono stati rimossi». Sarebbe esclusa, in particolare, la cessione del Donbass, che Vladimir Putin definisce «un territorio storico della Russia»: qualcosa a cui Mosca non può rinunciare. Anche per questo, Roma è una tappa obbligata per Zelensky: al governo c’è uno dei pochi leader che hanno il rispetto di Trump. «Mi fido di Giorgia Meloni e credo che ci aiuterà», dice il leader ucraino ai cronisti prima di raggiungerla. Convinzione confermata al termine del confronto: «Abbiamo avuto un colloquio eccellente e molto approfondito. Apprezziamo il ruolo attivo dell’Italia».

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Da palazzo Chigi raccontano che i due leader hanno analizzato lo stato di avanzamento del processo dei negoziati e «condiviso i prossimi passi da compiere per il raggiungimento di una pace giusta e duratura per l’Ucraina». La nota della presidenza del consiglio spiega che hanno ricordato «l’importanza dell’unità di vedute tra partner europei e americani e del contributo europeo a soluzioni che avranno ripercussioni sulla sicurezza del continente». Quindi sono entrati nei dettagli delle «robuste garanzie di sicurezza che impediscano future aggressioni» e della necessità di mantenere «pressione sulla Russia affinché sieda al tavolo negoziale in buona fede». La premier ha assicurato «che l’Italia continuerà a fare la sua parte anche in vista della futura ricostruzione dell’Ucraina».

È la conferma che la strategia di Meloni non cambia. Prevede che l’Europa si impegni a garantire la difesa dell’Ucraina una volta che Kiev avrà raggiunto un accordo con Mosca, perché rendere sicuri quei confini serve innanzitutto alla Ue. Però questo dovrà essere fatto senza spezzare il filo che ancora lega il vecchio continente a Trump, anche se il presidente statunitense ha uscite imprevedibili e da sinistra, ogni giorno, si leva il coro che chiede a Meloni di scegliere tra Washington e Bruxelles.

È la linea condivisa dall’Ecr, il gruppo dei conservatori al parlamento europeo cui appartiene Fdi, che in questi giorni è riunito a Roma. «Ribadiamo ciò che abbiamo sempre fatto, ovvero sostenere il popolo ucraino rispetto a un’invasione vigliacca e violenta da parte della Russia», dice il co-presidente del gruppo, Nicola Procaccini. «Sosteniamo gli sforzi di pace del presidente Trump», spiega il capo delegazione di Fdi, Carlo Fidanza, «ed è importantissimo per l’Ucraina e per l’intera Europa arrivare a garanzie di sicurezza solide, che garantiscano l’Ucraina da possibili future aggressioni russe e garantiscano anche la sicurezza complessiva del nostro continente». La strada è sempre quella della «attuazione rimodulata dell’articolo 5 della Nato come garanzia di sicurezza», un impegno formale dell’Alleanza atlantica a proteggere Kiev anche senza farla entrare tra i propri membri: soluzione per cui Meloni, ricorda Fidanza, si sta spendendo da mesi.

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Che la giornata romana e la mediazione di Meloni abbiano prodotto risultati lo conferma, a fine giornata, la disponibilità di Zelensky a riportare gli ucraini alle urne, anche in tempi brevi. «Sono pronto per le elezioni», è il messaggio che recapita a Trump tramite alcuni media internazionali. «Inoltre chiedo agli Stati Uniti, possibilmente insieme ai colleghi europei, di garantire la sicurezza per lo svolgimento delle elezioni. In tal caso, entro 60-90 giorni l’Ucraina sarà pronta a tenerle». A conferma della decisione, Zelensky avrebbe chiesto al parlamento ucraino di cambiare le leggi che impediscono di tenere i seggi aperti mentre è in vigore la legge marziale.

Quanto al Donbass, il piano originario di Trump prevede che divenga «una zona cuscinetto neutrale e smilitarizzata, riconosciuta a livello internazionale come territorio appartenente alla Federazione Russa». Zelensky ripete che, anche se volesse, non avrebbe il potere di cedere quella regione, perché nessuna legge glielo consente. Alla fine, come dice il ministro per gli Affari europei Tommaso Foti, «la decisione spetta a Kiev e solo a Kiev». Che secondo fonti diplomatiche potrebbe accettare di trasformare il Donbass in terra di nessuno, smilitarizzata, se avesse garanzie molto solide da parte degli alleati sul fatto che i russi si fermerebbero lì. La risposta potrebbe essere la protezione modellata sull’articolo 5 della Nato proposta da Meloni.

Il governo di Roma conferma anche l’invio delle forniture di emergenza a sostegno del settore energetico ucraino: generatori di elettricità e altre attrezzature necessarie per evitare i blackout invernali. Zelensky ringrazia in un messaggio pubblico: «È esattamente ciò che sosterrà le famiglie ucraine, il nostro popolo, i nostri bambini e la vita quotidiana». La premier e Antonio Tajani hanno assicurato che il nuovo decreto per l’invio di armi in Ucraina, da approvare prima del 2026, sarà all’ordine del giorno in uno dei consigli dei ministri che si terranno da qui a fine anno.

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