Negli auguri del 19 dicembre al mondo politico Sergio Mattarella ha detto parole non solo cerimoniali quando ha auspicato «uno sforzo comune per individuare elementi di convergenza che coinvolga le migliori energie del Paese». Né sono stati rituali i riconoscimenti al governo Meloni per aver tenuto scrupolosamente sotto controllo i conti dello Stato. In tempi nei quali è così difficile approvare “bilanci” dello Stato per esempio nei parlamenti di Stati Uniti, Francia e Spagna, e sono acute le lacerazioni generazionali tedesche sulla riforma delle pensioni, alla fine spicca una manovra finanziaria italiana che riesce a creare spazi, magari non ancora utilizzati a pieno, per una nuova politica di sviluppo. Successivamente il presidente della Repubblica ha fatto anche scelte (da provvedimenti di amnistia ad altre) che sono parse più o meno polemiche con la maggioranza di governo: magari non saranno condivisibili ma sono comunque comprensibili nella visione quirinalizia di come tenere insieme la società italiana, e comunque non offuscano le fondamentali dichiarazioni precedenti.
Infatti l’invitare a «uno sforzo comune» «le migliori energie del Paese» è essenziale per affrontare gli elementi che rendono difficile il pur possibile rilancio dell’Italia: da una parte c’è un problema di un assetto istituzionale ancora incardinato sulle caratteristiche che imponeva la Guerra fredda senza neppure i correttivi consentiti dalla passata stagione cioè innanzi tutto un sistema di partiti che suppliva alle relativamente fragili basi sociali dello Stato post 1945, dall’altra la fine traumatica nel 1992 della Prima repubblica e un qualche logoramento della stessa Costituzione hanno provocato una certa rottura più generale tra élite culturali e ceto politico, non ancora ricomposta; infine il ruolo che Giorgia Meloni si è conquistata nella politica continentale ha in parte assorbito, ma non rimediato strutturalmente a difetti dell’UE, istituzione preziosa per le sorti della nostra nazione ma che, non essendo riuscita a darsi una vera Costituzione, supplisce spesso a carenze di fondo con eccessi di tecnocrazia e con l’esercizio di rapporti di forza tra gli Stati membri non sempre equilibrati e non di rado inefficaci.
Il Quirinale mentre esercita il ruolo di severo custode della Carta fondamentale della Repubblica e del processo di integrazione comunitario, non manca di avvertire alcune delle difficoltà ricordate nel sistema istituzionale sia nostro sia europeo, e invoca quindi quello spirito costituente che solo può rimediare a certe lacune esistenti senza creare una crisi organica del nostro Stato o dell’Unione. Qualche traccia dell’evocato “spirito” la incontriamo nelle cronache: Graziano Delrio che richiama il mondo politico all’esigenza di fare i conti con l’antisemitismo crescente nel mondo occidentale soprattutto tra i giovani e trova un’eco nelle parole di Luciano Violante sul Riformista diretto da un altro ex comunista come Claudio Velardi impegnato a mettere l’interesse democratico nazionale al di sopra delle scelte di fazione; i due più sapienti costituzionalisti della sinistra l’uno di tradizione comunista, Augusto Barbera, l’altro principale ispiratore delle riforme istituzionali renziane, Stefano Ceccanti, che scelgono pubblicamente di appoggiare il Sì al referendum sulla riforma Nordio per la separazione delle carriere; Antonio Tajani che si pone il problema di difendere la professionalità dei giornalisti di una Repubblica in vendita; Matteo Salvini che si chiede se dietro a certe accuse a Federica Mogherini non vi sia un qualche tentativo più generale di indebolire la presenza italiana nelle istituzioni comunitarie; l’appello di sindacalisti non certamente di destra per costruire un patto sociale che sorregga una politica di sviluppo nazionale; Marco Minniti politico centrale nel governo D’Alema del 1998 che difende con forza il Piano Mattei per l’Africa e il corridoio economico India-Medio Oriente-Mediterraneo; Roberto Morassut che spiega la partecipazione alla manifestazione Atreju ricordando la necessità di difendere e consolidare il rapporto tra il Campidoglio e Palazzo Chigi per la legge Roma Capitale; il rapporto di Emanuele Fiano con Anna Maria Bernini per garantire la libertà di parola nelle università; Lorenzo Guerini che, riprendendo l’appello di Mattarella alla necessità dell’Europa di difendersi, promuove le scelte sulle spese militari del governo.
Insomma qualche raggio di speranza all’orizzonte si intravede ma il clima che auspico e di cui scrivo andrebbe consolidato anche con personalità non schierate ma comunque capaci di avere più attenzione al bene comune che a quegli interessi personali un po’ troppo presenti in una certa nuova genia di politici affaristi. Tra i sogni per un anno nuovo, io metto anche la possibilità che personalità bipartisan si ritrovino in un qualche club apposito a discutere delle riforme istituzionali necessarie all’Italia con lo spirito del 1947 e non con la foga dei talk show, pur da non demonizzare ma che svolgono un diverso ruolo da quello della riflessione. E credo anche che una parallela iniziativa dovrebbe essere organizzata per pensare a un’Europa inquadrata da un Costituzione e non puramente da tecnocrazie o diarchie.