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Fli dà lo sfratto a Fini: via il nome dal simbolo

"Non siamo un partito monarchico". Pressing dei moderati: pensi al partito e lasci la Camera / ROSELLI

Andrea Tempestini
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Puf. Il nome di Fini sparisce dal simbolo di Futuro e Libertà. Ma ritornerà. Il logo che comparirà all'assemblea costituente del partito, che inizia venerdì a Milano, nella grafica è uguale e identico a quello che aveva fatto il suo esordio a Bastia Umbra, tranne che per un particolare non da poco: al posto di “Fini” c'è scritto “Fli”. Dunque, il nome del presidente della Camera sparisce dal simbolo. Ma, a quanto si apprende, ricomparirà più avanti. «Per il congresso abbiamo deciso di usare il nome Fli perché, a differenza del PdL, non siamo un partito monarchico e personalistico. Futuro e libertà è un partito di tutti, quindi non ci sembrava corretto puntare solo sul nome del leader», spiega il deputato Enzo Raisi. «Ma quando si andrà alle elezioni politiche, la parola “Fini” tornerà nel simbolo, perché è lui che attira voti e consensi». aggiunge. Svelato, dunque, il mistero del logo: come il coniglio del mago Silvan, sparisce ora per riapparire più avanti, al momento di andare a votare. «Del resto questa è una delle poche lezioni che ci ha insegnato Berlusconi: per prendere più voti alle urne bisogna presentarsi col nome del leader nel simbolo», spiegano da Futuro e Libertà. Nel frattempo non si placa la polemica tra gli intellettuali “ribelli” e il partito. Ieri Alessandro Campi, che a Milano non ci sarà, è tornato ad esprimere giudizi critici nei confronti del presidente della Camera dalle pagine del Mattino di Napoli. Tre le accuse di Campi a Fini: l'eccesso di tatticismo, la personalizzazione dello scontro con Berlusconi e la sua apparente rinuncia al progetto iniziale, ovvero costruire un centrodestra alternativo a quello berlusconiano per confluire in un non meglio identificato terzo polo. Ma mentre il Secolo invita il partito «ad ascoltare il disagio degli intellettuali», Fabio Granata è più tranchant. «Premesso che non ci servono intellettuali organici, non credo che l'allontanamento di Campi e Ventura da Fini significhi per forza che la cultura italiana stia prendendo le distanze da noi», osserva il deputato futurista. Come a dire: cari Campi e Ventura, la cultura italiana non siete voi. La sofferenza dell'intellighenzia finiana e il suo ruolo di pungolo culturale sarà uno dei temi più interessanti di un congresso che rischia di essere un po' moscetto. Il clou, naturalmente, sarà domenica con Fini chiamato a indicare la strada politica da seguire nel prossimo futuro. Giorno in cui l'ex leader di An verrà eletto presidente del partito, carica cui rinuncerà per rimanere alla presidenza della Camera. Nonostante il consiglio di dimettersi sia sempre più pressante e non solo da parte degli intellettuali. I finiani più moderati, infatti, gli hanno chiesto più volte di lasciare Montecitorio per prendere le redini del partito. Il motivo? Non ne possono più di subire i diktat e le fughe in avanti di Bocchino, Granata e Briguglio. Vorrebbero, insomma, che a guidare il partito fosse il leader e non i colonnelli più barricaderi. La richiesta gli è stata avanzata anche in questi giorni. E il congresso potrebbe essere l'occasione giusta per il beau gest. Ma l'ex leader di An, raccontano, non ha alcuna intenzione di mollare lo scranno più alto di Montecitorio. In primo luogo perché sa che da semplice leader di partito il suo ruolo nella politica italiana diventerebbe marginale. Poi perché Fini avrebbe ben poca voglia di occuparsi delle questioni interne che, fin dai tempi di Alleanza nazionale, ha sempre delegato ai colonnelli. A Milano, infine, si risolverà la querelle Barbareschi. Il quale, dopo la sceneggiata sul suo presunto ritorno nel PdL, rischia di essere contestato dalla base. Ieri voci di corridoio sussurravano di un incontro tra l'attore deputato e Denis Verdini nella sede del partito berlusconiano a via dell'Umiltà. Ma i finiani che ci hanno parlato raccontano di un Luca «contentissimo di restare nel Fli e senza la minima intenzione di andarsene». di Gianluca Roselli

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