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Medicina: con 'cuore matto' piu' rischi di demenza e perdita autonomia

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Salute

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Milano, 5 mar. (Adnkronos Salute) - Il 'cuore matto' danneggia anche il cervello, accelerando il declino mentale e quello fisico. Uno studio italo-canadese, co-firmato dagli scienziati dell'Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri di Milano, dimostra che la fibrillazione atriale, tra le forme più comuni di aritmia cardiaca, moltiplica di un quinto il rischio di demenza e aumenta di oltre il 50% la probabilità di ricovero in casa di cura per la perdita di autonomia nelle attività quotidiane. La ricerca è stata pubblicata sul 'Canadian Medical Association Journal' da Irene Marzona, del Laboratorio di ricerca in medicina generale-Dipartimento cardiovascolare del 'Mario Negri', in collaborazione con Salim Yusuf della McMaster University di Hamilton in Canada. L'obiettivo dei ricercatori era quello di verificare un'eventuale correlazione tra fibrillazione atriale e declino cognitivo e funzionale, analizzando i dati prospettici di due maxi-studi (Ontarget e Transcend) che hanno coinvolto 31.546 pazienti ad alto rischio cardiovascolare, arruolati in 733 centri di 40 Paesi. Precedenti ricerche non avevano prodotti risultati consistenti sull'argomento - precisa una nota dell'Istituto diretto da Silvio Garattini - e comunque in pochi casi si era cercato di determinare un'associazione diretta tra la malattia del 'cuore matto' e la capacità di mantenere la propria indipendenza funzionale. "Il nostro studio - spiega Marzona, che tra il 2009 e il 2011 ha collaborato al progetto con la McMaster Univeristy e il collega Yusuf - dimostra che la fibrillazione atriale aumenta del 21% il rischio di demenza indipendentemente dalla presenza di una patologia ischemica cerebrovascolare. Abbiamo anche osservato una significativa associazione tra l'insorgenza di fibrillazione atriale e il declino funzionale: in particolare, la comparsa di questa aritmia aumenta del 35% il rischio che i pazienti debbano avvalersi di un aiuto in casa che permetta loro di eseguire le attività quotidiane, e del 53% che vengano addirittura ricoverati in una struttura di lungo degenza. Tutto questo indipendentemente dall'insorgenza di episodi di ictus nei pazienti osservati". Secondo la ricercatrice, "è probabile che questo declino cognitivo e funzionale sia il risultato di patologie cerebrovascolari subcliniche". Il livello di funzionalità cognitiva nei pazienti cardiopatici è stato determinato attraverso il test Mmse (Mini-mental state examination), ripetuto all'inizio dello studio, a 2 e a 5 anni di follow-up. Il Mmse assegna ai pazienti un punteggio in base alla valutazione di diverse funzioni cognitive tra cui capacità di attenzione, calcolo, ripetizione, lettura e comprensione. E' stato già dimostrato - ricordano gli autori - che una diminuzione di 3 o più punti totali in questo test è indice di un importante declino cognitivo. "Il manifestarsi congiunto di declino di più di 3 punti nel test Mmse, comparsa demenza, necessità di ricovero in una struttura di lungo degenza e perdita di indipendenza nell'eseguire le attività quotidiane - riassume Yusuf - si è verificato in 7.269 (26%) su 27.864 pazienti senza fibrillazione atriale e in 1.050 (34%) su 3.068 pazienti con fibrillazione atriale". "Questi risultati - concludono il ricercatore canadese e Marzona del Mario Negri - indicano che sarà importante d'ora in poi raccogliere informazioni riguardo allo stato cognitivo e funzionale dei pazienti con fibrillazione atriale inclusi nei futuri trial".

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