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Epatite C. Candidati al trattamento 400mila pazienti, ma 60mila urgenti

Maria Rita Montebelli
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L'Italia è il Paese europeo con il maggior numero di persone positive al virus HCV, circa 1 milione e 600 mila: tra questi quanti sono i pazienti candidabili al trattamento con le nuove terapie? E come risponde la Sanità pubblica al 'bisogno' di cure? Oggi in Italia sono circa 400.000 le persone con infezione cronica da virus dell'epatite C candidabili ad un trattamento curativo dell'epatite; tra questi pazienti, almeno 50-60.000 hanno urgente bisogno di essere trattati, per lo stadio già avanzato della loro malattia epatica. Le Regioni italiane si sono attrezzate, ognuna per proprio conto, per valutare meglio il fenomeno e soprattutto per prepararsi ad affrontarne l'impatto sui costi del Servizio Sanitario Nazionale, anche in considerazione di un numero di infezioni da HCV ‘sommerse', cioè ad oggi non conosciute ma anch'esse candidabili alle cure, che potrebbe essere molto elevato. In Sicilia, ad esempio, sono stati messi in rete, nei 31 Centri che si occupano di terapia dell'epatite C, 4.600 pazienti, che rappresentano solo una parte di quelli regolarmente seguiti dai Centri stessi. Di questi 4.600, oltre 2.000 hanno caratteristiche che ne consentono l'accesso alle nuove terapie senza interferone tramite il SSN secondo la normativa in atto vigente. La Sicilia, che rappresenta economicamente circa l'8% del fabbisogno italiano, dovrà quindi coprire un fabbisogno pari ad almeno 2.500 trattamenti nel corso del prossimo futuro, più un numero almeno 3 volte superiore negli anni futuri. Proiettando questi dati su tutta l'Italia quindi, potenzialmente nei prossimi due anni dovranno essere curati non meno di 100.000 pazienti. Questo bisogno pressante, in un quadro di offerta di farmaci sempre più efficaci e ad alto costo, si scontra con una rilevante disomogeneità nell'accesso alle cure da regione a regione. Alcune regioni hanno rapidamente dato la possibilità alle ASL di trattare i pazienti con i farmaci disponibili attualmente, altre, come la Campania e la Sicilia, sono partite a rilento; i ritardi sono di tipo gestionale e la vera differenza sta nell'apertura di spesa in alcune regioni più ampia in altre meno. Ovviamente le Regioni non possono avere un atteggiamento restrittivo che genera differenze di trattamento tra i pazienti e va contro il diritto alla cura. L'ampliamento delle terapie disponibili per l'HCV alimenta grandi aspettative, ma la ricerca non si ferma perché anche con le nuove opzioni non mancano certamente i problemi: quali sono i principali bisogni terapeutici non ancora soddisfatti? È vero, vi sono grandi aspettative sui farmaci registrati da EMA, si pensa alla possibilità di un'eradicazione dell'infezione in tutti i pazienti indipendentemente dallo stadio di malattia; d'altra parte gli attuali farmaci hanno minore tossicità e grande tollerabilità; il problema è che finora i farmaci disponibili sono stati usati in pazienti con malattia cirrotica compensata (cirrosi di classe A di Child) mentre il bisogno ora più urgente che si pone per i pazienti con malattia scompensata non è stato ancora studiato, in particolare nei pazienti con insufficienza renale, dove i farmaci attualmente disponibili non sono sostenuti da sufficienti dati che ne avvalorino l'uso sicuro nei pazienti con insufficienza renale cronica o in dialisi, anche se i dati dello studio C-SURFER con grazoprevir/elbasvir in questa tipologia di pazienti che sono stati presentati qui al congresso EASL sono molto promettenti. Un altro bisogno non ancora soddisfatto riguarda i pazienti con infezione HCV da genotipo 3, che nell'epoca dell'interferone, ormai tramontata, era considerato ‘facile', per il quale le terapie attuali non mostrano un'efficacia paragonabile a quella che hanno per gli altri genotipi, nonostante ci si attesti su tassi del 65-70% che evidenziano come ci sia, in realtà, un ampio spazio per il miglioramento della percentuale di risposta. Può essere considerata vinta, invece, la battaglia per i pazienti co-infetti HCV-HIV (circa 20.000 in Italia con infezione nota): le terapie antivirali attuali sono piuttosto efficaci anche se a prezzo di interazioni con alcuni farmaci anti-HIV che costringono a cambiare la terapia seguita dal paziente. In sintesi, quindi, la ricerca deve lavorare ancora su farmaci più sicuri per la malattia epatica scompensata, su farmaci utilizzabili nei pazienti con insufficienza renale cronica o in dialisi (anche se su questa tipologia di pazienti i dati di grazoprevir ed elbasvir appaiono molto promettenti), su farmaci più attivi contro il genotipo 3 di HCV e, infine, su farmaci che non abbiano interazioni significative con la terapia anti-HIV. I pazienti con malattie ematologiche infetti da HCV rappresentano una classe di pazienti particolarmente ‘fragili'. Il suo Centro ha avviato una sperimentazione proprio in questa tipologia di pazienti. Qual è la sua esperienza diretta su grazoprevir/elbasvir? In uno studio internazionale, condotto nel nostro Centro a partire dall'autunno del 2014, abbiamo coinvolto una ventina di pazienti con emoglobinopatie congenite (talassemia e drepanocitosi) ed emofilia; persone che convivono con l'epatite C da oltre 30 anni, delle quali la maggior parte è cirrotica e con un uso “difficile” della ribavirina. Ebbene, abbiamo sottoposto questi pazienti ad un trattamento con grazoprevir/elbasvir in combinazione per tre mesi, al dosaggio di una unica pillola al giorno. I primi 10 pazienti che hanno completato il ciclo di trattamento sono guariti tutti. Tra questi pazienti alcuni avevano fallito la terapia con interferone altri non erano candidabili all'interferone. Vista la nostra positiva esperienza fino ad oggi, crediamo che la vera sfida dei nuovi farmaci si giocherà sulla facilità e semplificazione terapeutica, sulla brevità del trattamento, sull'assenza di effetti collaterali e sulla riduzione dei costi. (PIERLUIGI MONTEBELLI)

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