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Malattie croniche: “Riorganizzare l'assistenza regionale e la spesa”

Il Piano Nazionale Cronicità, a quasi tre anni dall'approvazione, è realizzato in via parziale e solo in alcune Regioni, seppur da molti sia stato considerato il potenziale vero spending review della sanità

Maria Rita Montebelli
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Fibrillazione atriale, Bronco Pneumopatia Cronica ostruttiva (BPCO) e diabete, tra le patologie croniche a maggior diffusione, costano 700 miliardi di euro l'anno in Europa e in Italia affliggono 24 milioni di persone. Con lo scopo di rendere omogeneo l'accesso alle cure da parte dei cittadini, garantendo gli stessi livelli essenziali di assistenza, armonizzando a livello nazionale tutte le attività, compatibilmente con la disponibilità delle risorse economiche, umane e strutturali, prende il via il ‘Roadshow Cronicità', serie di incontri regionali, realizzati da Motore Sanità, con il contributo incondizionato di Boehringer Ingelheim, che vedono il coinvolgimento dei massimi esperti del modo sanitario regionale, insieme ad istituzioni e associazioni di pazienti. Parallelamente al verificare lo stato di attuazione del Piano Nazionale Cronicità da parte del Ministero della Salute, che ha attivato un monitoraggio per mappare il livello di stratificazione della popolazione, di integrazione tra assistenza ospedaliera e territoriale, di adozione e attuazione dei percorsi diagnostico-terapeutici, l'innovazione organizzativa dovrebbe essere responsabilità di ogni Regione e dovrebbe essere realizzata attraverso condivisi e monitorati PDTA. “La prevalenza di malati cronici è in costante e progressiva crescita che aumenta, ovviamente, con l'età, con impegno crescente di risorse sanitarie, economiche e sociali. L'aumento di questo fenomeno è connesso a differenti fattori come l'invecchiamento della popolazione e l'aumento della sopravvivenza dovuti al miglioramento delle condizioni igienico-sanitarie, al mutamento delle condizioni economiche e sociali, agli stili di vita, all'ambiente e alle nuove terapie. Se il 40 per cento della popolazione italiana è affetta da almeno 1 malattia cronica e il 21 per cento da almeno 2, tali percentuali salgono rispettivamente all'86 ed al 66 per cento dopo i 75 anni (dati Osservatorio Nazionale Salute nelle Regioni Italiane ed. 2018). Lo scenario deve essere affrontato in un'ottica globale che integri le componenti sanitaria e sociale, in considerazione che non solo gli anziani ma anche le loro famiglie vengono coinvolte direttamente o indirettamente (assenze dal lavoro, spesa out of pocket) nell'assistenza. Per affrontare la complessità delle problematiche cliniche, assistenziali e sociosanitarie, è necessario un approccio multidimensionale alla persona anziana e/o fragile da parte di una rete di professionisti capace di rispondere in modo appropriato a bisogni diversi. La sfida, nel prefigurare un sistema integrato di continuità assistenziale che comprenda la prevenzione (cadute, alimentazione, fragilità), le cure ospedaliere, riabilitative, le cure intermedie, domiciliari e palliative, con un coordinamento delle attività in grado di superare le attuali discontinuità dovute a gestioni istituzionali diverse e a professionisti con formazione non omogenea: una sfida organizzativa dove il management sanitario deve mostrarsi all'altezza dell'impegno", ha detto Anselmo Campagna, responsabile Servizio Assistenza Ospedaliera Direzione Generale Cura della Persona, Salute e Welfare Regione Emilia-Romagna. "La fibrillazione atriale insieme allo scompenso cardiaco costituisce una delle patologie a maggiore impatto sanitario in considerazione dei rischi ad essa associati, in particolare l'ictus cerebrale. Questa temibile complicanza dell'aritmia può essere prevenuta in modo efficace grazie all'utilizzo della terapia anticoagulante orale. In Emilia-Romagna si stima una prevalenza della fibrillazione atriale di oltre il 2 per cento della popolazione di età adulta con un utilizzo molto diffuso della terapia anticoagulante orale in tutte le province. Dati provenienti dalle fonti FED/AFO indicano in oltre 130 mila il numero di pazienti residenti anticoagulati nell'anno 2018. La prevalenza dei nuovi anticoagulanti orali, che offrono notevoli vantaggi rispetto ai vecchi antagonisti della vitamina K a fronte di un costo significativamente maggiore, è intorno al 48 per cento nei pazienti con fibrillazione atriale arrivando al 74 per cento come incidenza nei pazienti che iniziano oggi il trattamento anticoagulante”, ha spiegato Giuseppe Di Pasquale, dirigente medico - direttore di Cardiologia Azienda USL di Bologna. “La BPCO è attualmente la 4 causa di morte, ma si prevede che diventi la terza causa di morte entro il 2020. Purtroppo, a fronte di un atteso aumento della patologia vi è una riduzione graduale e costante dei posti letto pneumologici, nonostante che nel 2017 la più frequente causa di ricovero negli ospedali italiani sia stata la insufficienza respiratoria (dati sdo 2017 Ministero della Salute). Diventa pertanto indispensabile cercare di ridurre la ospedalizzazione e i ricoveri inappropriati di questa categoria di paziente, mediante una integrazione ospedale territorio. La BPCO deve essere diagnosticata precocemente e gestita attraverso un percorso diagnostico-terapeutico dedicato, con lo scopo di migliorare la diagnosi, l'appropriatezza terapeutica e l'allocazione dei pazienti. La politica sanitaria della Regione Emilia Romagna per le malattia croniche respiratorie già dal 2018 ha evidenziato la necessità che le Aziende Sanitarie Territoriali promuovessero la presa in carico integrata dei pazienti affetti da BPCO nelle case della salute/NCP, con il coinvolgimento di medici di medicina generale, infermieri della case della salute, specialisti ospedalieri e territoriali, quali pneumologi, fisiatri, medici di emergenza territoriale e di pronto soccorso”, ha dichiarato Pier Anselmo Mori, medico SC Dipartimento di Medicina Generale e Specialistica Pneumologia ed Endoscopia Toracica AOU Parma. “Il diabete oggi viene spesso definito il paradigma della cronicità, è facile condividere quest'idea, parlare oggi di diabete significa parlare di numeri importanti, in ER le persone con diabete sono oltre 27 mila, il 94 per cento sono persone adulte con diabete T2, nel 6 per cento troviamo persone con DT1, mentre i bambini sono circa 1000. Ci stiamo rendendo conto che non possiamo più parlare di diabete senza includere tutte le malattie che arrivano come complicanze. Sarebbe importante avere una squadra di specialisti che curino la persona e non i singoli organi, questo faciliterebbe la vita delle persone con diabete che spesso devono muoversi in contesti diversi e complicati. Nella nostra regione si sta lavorando da anni nel modello di presa in carico delle Case della Salute, che già funziona in molte aree ma deve essere sviluppato meglio su tutto il territorio. Riteniamo molto importante la stratificazione del rischio fatta dalla RER con il progetto RISK-ER, sono dati che ci permettono di individuare la popolazione in base al rischio e il rischio aumenta in modo preoccupante quando andiamo a vedere le persone con diabete che hanno più patologie, scompenso e BPCO in particolare, tenendo presente che sono in buona parte persone con maggiore fragilità sociale. Diventa quindi indispensabile ragionare in un contesto di cronicità, senza dimenticare la complessità del diabete nel contesto sociale”, ha detto Rita Lidia Stara, presidente Federazione Diabete Emilia-Romagna. (MARCO BIONDI)

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