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Pesce fresco, Italia fregata: pesca vietata nell'Adriatico, l'Ue ci rifila le sogliole straniere

Giulio Bucchi
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Venerdì pesce. Fresco (forse), ma sicuramente d' importazione. Che metterà pure l' acquolina in bocca, quella grigliata di scampi e orate sulla spiaggia di Cesenatico, ma attenzione: il pescato in questione rischia di venire dalla Grecia e dall' India. Di certo non dalle coste dello Stivale. Di made in Italy, in questo periodo, sulle tavole in riva all' Adriatico ce n' è davvero poco. "Colpa" (diciamo così) del Fermo Pesca 2018: una misura che rientra nel piano delle politiche europee ed è adottata per salvaguardare gli abitanti dell' ambiente marino del Mediterraneo. L'imposizione - Tradotto nella pratica significa che da ieri e fino al 23 settembre, i pescherecci e le imbarcazioni battenti bandiera tricolore non potranno lavorare sui litorali di San Benedetto, Termoli, Manfredonia e Bari. Il fermo segue quello già scattato il 30 luglio scorso da Trieste a Ancona, in vigore fino al 9 settembre. Il motivo? Occorre evitare che le reti a strascico, in estate, facciano mattanza di spigole, calamari e tonni. «È in questa stagione che molte di loro si riproducono», spiega Tonino Giardini di Impresapesca, la costola ittica della Coldiretti. Insomma: le acque salate d' Italia, in agosto, diventano delle immense nursery di piccole cernie e baby baccalà. Per preservare il preservabile la pesca è vietata. Giusto. Però c' è un però. Anzi, ce n' è più d' uno. Prima di tutto questa imposizione, che è comparsa per la prima volta nel 1985, cioè 33 anni fa, di risultati non ne ha mai concretizzati. «Oggi sappiamo che il 70% delle risorse del Mediterraneo sono a rischio sul lungo termine e il 20% nel breve termine: pensato così il Fermo Pesca è del tutto fallimentare», commenta Giardini. E poi c' è il risvolto della medaglia: perché le canne in mezzo al mare si chetano, sì, ma la richiesta nei ristoranti sulla spiaggia proprio per niente. Nella bella stagione, tra l' altro, schizza alle stelle. Con il solo risultato che per accontentare l' appetito di tutti, gli chef della Riviera e della costa adriatica devono attingere ai magazzini stranieri. Extra Ue, nella maggior parte dei casi: Egitto, Libia, Thailandia e India. Un bel melting pot di sarde. «È un problema» - «Trent' anni fa le importazioni di prodotti ittici nel nostro Paese erano solo il 27% della domanda, oggi, per rispondere al fabbisogno richiesto, quella cifra tocca, di media, il 78%», continua l' esperto. Che è un po' come dire che due triglie su tre servite nelle nostre tavole calde vengono da oltre confine. «È un problema», chiosa Giardini, «perchè la tracciabilità, così come per tutti i generi alimentari, si ferma al ristoratore che non è tenuto, se non per serietà professionale, a dire ai suoi clienti dove ha preso le materie prime che finiscono in padella nella sua cucina». Conclusione: la fregatura è dietro l' angolo. Prenoti quel localino sul bagnasciuga di cui parlano tutti, è il giorno prima di Ferragosto, vedi il tramonto all' orizzonte e ordini un fritto misto pensando che non c' è niente di più gustoso dell' arte culinaria italiana, e invece nel piatto ti ritrovi (senza saperlo) il merluzzo della Croazia e i totani dell' Ecuador. Anche perché gli Stati ancora in via di Sviluppo come quelli dall' altra parte del Mediterraneo non ne vogliono sapere di divieti in nome dell' ambiente. E la ragione è semplice: non possono permettersi di vietare la sussistenza primaria a gran parte della popolazione. «Il Fermo Pesca va ripensato», puntualizza Giardini, «non tutte le specie si riproducono adesso, le alici lo fanno in inverno». Per loro niente protezione? Sembrerebbe. riproduzione riservata Con il blocco totale dei pescherecci in Adriatico aumenta il rischio di ritrovarsi nel piatto per grigliate e fritture, soprattutto al ristorante, prodotti che arrivano dall' estero congelati. di Claudia Osmetti

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