Cerca
Logo
Cerca
+

Facebook, la faccia di tolla di Mark Zuckerberg

Davide Locano
  • a
  • a
  • a

Se andate sul profilo personale Facebook di mr. Mark Zuckerberg in questi giorni, l'immagine che percepirete è quella di una luccicante, ineffabile faccia di tolla in 4k. Già. Perché bisogna avere una meravigliosa faccia da schiaffi, oltreché la memoria di un criceto, per firmare una lettera aperta al Washington Post nella quale si chiedano esplicitamente «nuove regole» per «proteggere Internet dai contenuti pericolosi. Una accorata missiva in cui quasi si pretende «un ruolo più attivo da parte dei governi», sotto attacco — ormai da mesi — per la diffusione di fake news sulle sue piattaforme (Facebook, Whatsapp, Instagram) per gli episodi di mancata protezione dei dati personali; s'invochi una gestione di contenuti «tossici». «Molti politici mi dicono spesso che noi, a Facebook, abbiamo troppo potere sulla libertà di parola. E io, francamente, sono d'accordo» spiega Zuckerberg, come se non fosse uno dei maggiori manipolatori di dati del pianeta. Ed eccoti, in questa lettera, il 32enne ragazzo-meraviglia, rispolverare la faccenda “dell'uso dei dati e delle operazioni di targeting», al centro, ad esempio, del caso Cambridge Analytica. E chiedere nuovi parametri legislativi per l'integrità delle elezioni, per la privacy e la portabilità dei dati, per le fake news, e per tutte le continue violazioni di cui Facebook e i social si rendono ogni giorno colpevoli al punto quasi da non fare più notizia. Il finale di quest'invocazione all'etica universale del giovane Mark è spiazzante: “(Le aziende di Internet) dovrebbero essere responsabili del rispetto degli standard sui contenuti dannosi”. Invoca, Zuck. E si dimentica del tutto di aver annunciato davanti al Congresso americano, “una svolta” sul tema della privacy che non ha mai realizzato. Invoca. E ammette che per Facebook “qualcosa nel tempo sia cambiata, è diventata incontrollabile”. La qual cosa ha un che di letterario: mi ricorda il (quasi) pentimento del dottor Frankenstein riguardo alla creazione del mostro, solo che al posto della gente inferocita coi forconi, sotto casa ora ci ritroviamo l'Interpol e le pattuglie della polizia postale. Tra l'altro, guarda caso, questa resa al “mostro” da egli stesso creato, il magnate dei social la fa proprio quando pare che Facebook abbia cancellato per un non meglio precisato “problema tecnico” tutti i suoi messaggi a firma Zuckerberg postati tra il 2007 e il 2008. Tra questi c'erano, per dire, l'annuncio del 2012 per l'acquisizione di Instagram con una strategia indipendente dalla casa madre (l'esatto contrario di quel che sta accadendo); o le dichiarazioni legate al peso del social durante le elezioni Usa del 2016. Ma tant'è. E' vero che Facebook sia un inferno incontrollabile. E non parlo dei frequenti scandali, fino alle recentissime cause per revenge porn di Torre Annunziata (falsi profili di fidanzati mollati intasati di foto porno della ex), alle mail della società di software americana Six4Three in cui membri delle staff di FB venivano beccati a discutere su come cedere agli inserzionisti e a siti terzi i dati dei propri utenti. No. Parlo di frequenti ingerenze del mostro nella nostra più profonda intimità. Vi è mai capitato, per esempio, di discutere per telefono con amici di una possibile meta per le vacanze, e di ritrovarsi su Facebook i link con i siti della località a cui avete appena pensato? Vi è mai successo di trovarvi a chiedere ufficialmente “l'amicizia” di persone di cui ignoravate l'esistenza? Vi è mai accaduto di avere la sensazione che i dipendenti Facebook memorizzassero in chiaro la vostra password? Ecco Facebook è anche e soprattutto tutto. Oltre ad essere uno dei “giganti del web” che hanno eluso 46 miliardi di tasse in 5 anni (300 milioni di euro solo Zuckerberg l'anno scorso in Italia, ma trattasi di cifra ottimistica). E quindi occorre, appunto, una bella faccia bronzea per chiedere aiuti -e soldi- a quegli stessi Stati le cui regole hai cercato sistematicamente di eludere. La lettera di Mr. Zuckerberg non è un'ammissione di colpa, ma una furba strategia per rigettare i problemi nel campo avversario. Se Mark si è reso conto del fallimento di un sogno, la soluzione c'è: chiuda il sogno, stacchi al spina al suo giocattolino da 500 miliardi di dollari, e la smetta -con tutto il rispetto- di rompere i coglioni… di Francesco Specchia

Dai blog