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Stelle e buchi bianchi, la nuova teoria sull'origine dell'Universo

Gianni Bonina
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Ha atteso otto anni prima di scriverlo, perché nel 2014, esattamente l’11 febbraio, Carlo Rovelli pubblicò su arXiv, server di prestampa riservato agli scienziati, il risultato della sua scoperta e solo nel 2022 dopo due annidi svariate stesure – ha completato il suo ultimo libro, Buchi bianchi (Adelphi, pp. 144, euro 14), che lo ha lanciato di nuovo in vetta alle classifiche di vendita, un po’ per la fama di abile divulgatore che si è fatto e un po’ per il tenore della scoperta presagita nel titolo: l’esistenza di buchi bianchi in aggiunta a quelli neri, già fonte di enorme interesse anche nell’immaginario comune. Nel 2014 l’articolo scientifico uscì con un titolo, Planck stars, che era però privo di alcun riferimento a suggestivi e ben più accattivanti buchi bianchi, mentre solo nel 2018 sarebbe apparso su Universe un altro documento circa la materia oscura e la stabilità di un buco chiamato “black/white”, dunque di un primo colore bianco.

La sensazionale scoperta riguardava una sorta di “teoria del tutto” - il sacro graal inseguito da tutti i fisici del mondo – che accoglieva le equazioni di Einstein e nello stesso tempo i contrapposti principi della meccanica quantistica. L’idea era prorompente: al centro del buco nero non c’è, come si è creduto, una “singolarità”, ovvero una inspiegabile incognita, ma una stella capace di rifondere le informazioni inghiottite dall’orizzonte degli eventi del buco nero e di restituirle all’esterno dopo un rimbalzo quantico. In altre parole, mentre un buco nero “evapora” per via della “radiazione di Hawking”, perde massa e si contrae, la stella di Planck all’interno diventa sempre più grande man mano che ne assorbe le informazioni.

 


RIMBALZO COSMICO - Ne deriva che il Big Bang può essere stato un grande rimbalzo cosmico di una Planck star, nella supposizione quindi di un universo preesistente, e che la relatività generale destinata ad annullarsi sulla scala di Planck (cioè al grado più infinitesimamente piccolo) può invece tornare ad avere validità con effetti quantistici. Stupefacente.

La singolarità, quantomeno del libro in questione, viene però adesso. Nell’asserzione che dava il titolo al documento del 2014 si leggeva «We call a star in this phase a “Planck star”», dove il pronome personale non sottendeva in Rovelli un plurale maiestatico dal momento che il documento era cofirmato da Francesca Vidotto, brillante scienziata di Treviso oggi docente di Fisica teorica in Ontario, che però nel libro di Rovelli appare solo tre volte e sempre nelle note d’appendice. Nella prima di esse Rovelli le rende tuttavia omaggio: «Francesca, mia coautrice nell’articolo (quello del 2014, nda), ha avuto un ruolo chiave in questa storia». Sin dall’inizio la scena è invece occupata nel libro da uno scienziato americano, Hal Haggard (mai citato col cognome), al quale Rovelli riconosce il merito di avergli offerto, nel 2013 a Marsiglia, il destro per arrivare l’anno dopo con Vidotto alle Planck stars e sul finire del 2022 ai buchi bianchi.

 

 

I DUBBI - Rovelli, Vidotto e Haggard sono fisici teorici che studiano in particolare la “gravità quantistica a loop”, quella che secondo Rovelli «descrive transizioni quantistiche fatte di salti da una configurazione dello spazio a un’altra». La teoria immagina cioè la gravità non come forza ma come realtà geometrica, come “configurazione” capace, dentro un Buco nero dove le equazioni classiche fermano il tempo, di passare attraverso un tunnel al di là della singolarità, rimbalzare e dare allo spaziotempo una nuova conformazione. E Rovelli scrive che fu questa «la prima idea di Hal», ma non nasconde che possa essere del tutto infondata. L’azzardo della teoria può allora spiegare non solo perché Rovelli abbia atteso nove anni per pubblicare un libro il cui contenuto, quanto alle acquisizioni teoretiche raccolte, non ha dopotutto elementi in più, ma può anche giustificare l’assenza della Vidotto. Del resto, per stessa ammissione di Rovelli, la teoria dei buchi bianchi richiede ulteriori studi. Mentre per esempio i buchi neri sono stati addirittura fotografati, perché quelli bianchi, che sarebbero il loro doppio, nessuno li ha visti? Rovelli li descrive come sottilissimi e infinitesimali pezzettini di capelli fluttuanti nell’universo, quindi pressoché invisibili, tali da potere costituire persino la famosa materia oscura. «Ci sono davvero?» si chiede alla fine. «E chi lo sa? A me e ad Hal piacerebbe molto». Ma anche a Francesca Vidotto, “madre” delle Planck stars, non dispiacerebbe affatto. 

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