«Per ogni matematico c’è un senso d’infinito nel dar la caccia ai numeri già sfuggenti di per sé», canta Angelo Branduardi inneggiando a quel (vano) sogno pitagorico, a quel concetto matematico non presente nel mondo fisico, che per la sua stessa struttura di rinvio all’illimitato, risulta insondabile nella sua pienezza.
Eppure, come disse Gianfranco Cimmino, tra i più grandi matematici italiani, «l’idea d’infinito è l’essenza di cui è impregnata tutta la matematica». Quest’ultima nasce all’alba della civiltà con l’esigenza di distinguere quantitativamente le cose e, dunque, nell’immanente, legando idee astratte, come gli enti della geometria euclidea il punto, la retta e il piano, ma anche gli stessi numeri che Richard Dedekind considerò «emanazione immediata delle purissime leggi del pensiero», a concetti concreti.
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Un percorso inverso a quello compiuto dalla scienza galileiana, che nella materia “volgare” cerca le leggi fondamentali della natura. Entrambe, matematica e fisica, portano l’uomo verso il trascendente. Perché noi veniamo da un “tutto” a cui è stato strappato “qualcosa”. E quel qualcosa è il nostro universo. Grande grandissimo, ma lungi dall’essere infinito. Basti pensare ai granelli di sabbia. Fu il siciliano Archimede a dare il primo esempio concreto di calcolo in cui il numero di cose realmente esistenti non può essere infinito. Così come le stelle, nella nostra galassia sono presenti cento miliardi di stelle, l'unità seguita da undici zeri, che dovremmo moltiplicare per altre cento miliardi di galassie. Numeri anche solo difficili da concepire, ma sempre riportabili in una sola riga di un foglio di carta.
Questo perché nel mondo che ci circonda nulla parla di infinito, eppure quest’ultimo rimane la parola e il concetto che più ha affascinato e interessato i vari ambiti dell’intelletto umano, basti pensare alla poesia, come non citare l’Infinito di Leopardi o il solo verso di Ungaretti «M'illumino d’immenso». O quel realismo magico di Borges: «Di queste strade che sfondano il tramonto, una ce ne sarà, non so quale...». Il pittore De Chirico cercò di dipingere la Nostalgia dell’Infinito. A partire dal rapporto antitetico tra il corpo, limitato e mortale, e la sua volontà di vivere, impulso di natura infinita, Schopenhauer costruì addirittura un intero sistema filosofico. Mentre il padre della musica tardo-romantica, Gustav Mahler, confidò di sentire la sua Ottava sinfonia di «inaudita lunghezza e poderosa ampiezza», in armonia con l’infinito. Che rimane una straordinaria invenzione dell’intelletto umano, che vede fondersi creatività artistica con razionalità matematica, così come nei quadri di Escher, in cui il rigore geometrico si alterna ai sensi di vuoto in una sorta di equilibrio euritmico. Lo stesso che accompagna la narrazione de L’Infinito, primo saggio divulgativo pubblicato nel 1988 e uscito in tre edizioni, del professore Antonino Zichichi, autentico curriculum scientifico semovente e fautore del connubio tra fede e scienza che, lungi dall’essere in contrasto, costituiscono le due componenti di cui siamo fatti: il trascendente e l’immanente.
Una miscela paragonabile a quella complessa di spazio e tempo. Abbiamo interiorizzato, infatti, l’idea che lo spazio non sia rigido e immutabile, ma deformabile in base alla materia e che il tempo non sia assoluto e separato dallo spazio, ma costituisca assieme a quest’ultimo una nuova entità: lo spazio-tempo una specie di tessuto a quattro dimensioni, tre spaziali e una temporale, in cui siamo immersi. Ai quali dovremmo aggiungere concetti di carica e spin e quello di equivalenza tra massa e energia. È da questi ingredienti fondamentali di cui siamo fatti, che il professor Zichichi mosse aspre critiche a quello che fu il marxismo scientifico, che intendeva la materia come negazione del trascendente, un po’ come oggi lo scientismo considera solo quanto può essere quantificato e misurato.
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Ecco perché la nuova e più snella edizione de L’Infinito pubblicata da Il Cigno GG Edizioni, (pagine 120, euro 18), con una nuova e suggestiva veste grafica, è un «dono alle nuove generazioni», che con questo saggio hanno l’occasione per evadere da un mondo che va sempre più verso una visione materialistica e utilitaristica, abbracciando così la bellezza spirituale della matematica estrapolata dal contesto scolastico ed elevata a dialogo neoplatonico. Preceduto nella prima parte della trattazione da un’esposizione divulgativa della realtà del mondo che ci circonda, «Dalla torre di Pisa ai confini del cosmo», situati a circa duecento miliardi di miliardi di chilometri. Il professor Zichichi ci trascina a calcolare anche l’intera massa del nostro universo, che considerata la massa mancante si suppone sia cento volte superiore a quella calcolata. Una massa che in grammi si esprime con l’unità seguita da ben 54 zeri. Una sorta di quello che Aristotele considerò come infinito potenziale, che cresce sempre, senza però mai raggiungere l’infinito.
Ma chi fu il primo a concepire l’infinito? Con questa domanda Zichichi ci introduce in quella che è l’avventura di un’idea straordinaria, un’autentica cavalcata verso la costruzione dell’infinito, in cui l’autore ci accompagna con una narrazione fiabesca. Proprio l’invenzione della principessa Cristina, la corrispondenza biunivoca, consentirà al lettore di ripercorrere quell’attività intellettuale cui diamo il nome di calcolo. Un'operazione logica del nostro intelletto che ci porta alla scoperta della successione infinita dei numeri interi (1,2,3,4...) senza la quale la matematica non esisterebbe.
Ecco, dunque, il fine più nobile del libro: Zichichi ha il merito di far scattare la scintilla dell’interesse concettuale, inebriandoci di numeri, di nuove conquiste del nostro pensiero e aprendoci le porte al “paradiso di Cantor”, cui spetta il posto d’onore della narrazione. Perché Georg Cantor (1845-1918), che il programma scolastico ha la grave colpa di non contemplare nemmeno, fu il primo, nel 1837, a sondare diversi livelli di infinito, scoprendo che non basta l’infinità dei numeri interi per enumerare tutti i punti di un segmento. È la famosa ipotesi del continuo. Che ci riporta a duemilacinquecento anni fa, ai greci e a Zenone di Elea, che fu il primo a dividere un segmento a metà senza mai fermarsi. Come non si fermeranno le nuove conquiste della scienza galileiana che cercherà di avvicinarsi sempre più alla comprensione del Grande Disegno di «Colui che ha fatto il mondo», senza però riuscire a decifrarlo totalmente, perché insondabile. Così come matematicamente inaccessibile è l’infinito assoluto.