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Frutta, dal campo al super un rincaro del 500%: ecco come ci stanno rapinando

Attilio Barbieri
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Ha destato scandalo, in settimana, il caso delle ciliegie raccolte nelle campagne tra Conversano e Turi, in provincia di Bari, vendute a Milano a 17,90 euro al chilo. Ma pagate all'agricoltore da 1,80 a 3 euro. Il solito gioco dei prezzi che lievitano fino a decuplicare. Ma a spiegare il balzo impressionante, a svantaggio sia dei consumatori sia degli agricoltori, c'è la natura del punto vendita dove il cartellino ha fatto segnare una crescita dell'894%. La vendita al pubblico delle ciliegie di Re Mida è avvenuta in un negozio di vicinato, probabilmente in una zona centrale o semicentrale di Milano, dove i prezzi subiscono rialzi particolarmente marcati.

 

 


Ha sicuramente ragione il presidente di Coldiretti Puglia, Savino Muraglia, secondo il quale «serve un marchio che valorizzi le caratteristiche organolettiche della ciliegia e le capacità di produzione da parte degli operatori del settore, un marchio come la Igp che possa essere riconosciuto dal consumatore». Ma qual è l'entità dei rincari che si verifica nei punti vendita della grande distribuzione, quelli che - a differenza dei negozi nei centri cittadini - fanno il mercato al dettaglio dell'ortofrutta? La notizia delle ciliegie pugliesi col prezzo decuplicato dal campo alla tavola era di martedì scorso.
Così, indossati i panni del Casalingo di Voghera (abito a poca distanza della cittadina dell'Oltrepò Pavese) - ho passato al setaccio i punti vendita delle maggiori insegne della distribuzione presenti in zona: Esselunga, Coop e «Grande i».

 

 


I CARTELLINI PARLANO
 Taccuino alla mano ho annotato tutti i prezzi riportati dai cartellini sul bancone e li ho messi in fila. Raffrontandoli con le quotazioni all'origine, fornite da Ismea Mercati, la maggiore istituzione pubblica che si occupi di rilevare le quotazioni nelle filiere agroalimentari. I dati che ho raccolto stupiscono per molti motivi. Innanzitutto, nonostante la crescita dei costi di produzione per gli agricoltori, i prezzi all'origine, anziché aumentare sono calati rispetto allo scorso anno. È successo così per albicocche, ciliegie, fragole, nettarine e mele. Fanno eccezione le pere che risentono probabilmente tuttora della scarsità dei raccolti, decimati dalle cimici asiatiche. Ma immagino la costernazione dei frutticoltori che si vedono riconoscere un prezzo al campo inferiore rispetto a quello di dodici mesi fa. Comunque i cartellini dei supermercati parlano. E raccontano tante cose. Ad esempio che le quotazioni delle ciliegie possono salire dai 2,32 euro medi all'origine ai 13,27 euro che ho rilevato all'Esselunga di Voghera. Con un rincaro pari al 472%. E i Kiwi fanno perfino peggio nel loro tragitto dalla pianta al piatto: il prezzo esplode letteralmente da 1,77 euro al campo agli 11,98 euro rilevati alla «Grande i» di Montebello della Battaglia. Più 576%.

 

 


FILIERE INEFFICIENTI
Ha ragione chi parla di filiere inefficienti e intermediari (spesso) scorretti nel gonfiare i prezzi. Sulle quotazioni finali, quest' anno, gioca poi un ruolo decisivo anche il caro-energia, con il costo dei trasporti cresciuto a due cifre. Ma se i rincari arrivano addirittura a quintuplicare il valore della frutta dall'origine al consumo, non si capisce perché i prezzi al campo debbano scendere. A meno di non pretendere di far scontare agli agricoltori il peso dell'esplosione di materie prime ed energia. Il rischio, com' è già accaduto nel recente passato è quello di indurre i coltivatori a lasciar marcire i frutti sugli alberi. In questa direzione spinge non solo la compressione dei margini provocata dal ribasso delle quotazioni al campo, ma anche la mancanza di manodopera da impiegare nei raccolti. Sempre secondo la Coldiretti mancano circa 100mila stagionali. Oltre 15mila soltanto in Puglia. Con la conseguenza che i pochi disponibili non riescano a garantire i raccolti. Il danno, per il sistema Italia sarebbe duplice. Ai mancati guadagni dei nostri produttori, si sommerebbe l'ingresso di frutta e verdura importata che non sempre rispetta gli standard di sicurezza richiesti dalla Ue alle nostre coltivazioni. C'è perfino chi ha proposto di derogare ai limiti sulle tracce di pesticidi e fitofarmaci presenti sull'ortofrutta in arrivo dall'estero, per sopperire alla carenza dei prodotti made in Italy. Con un danno potenziale a carico dei consumatori. 

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