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Bevande gassate, addio? Perché la Co2 è così importante: quello che non sapete

Michele Zaccardi
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Non bastavano il caro energia, l'aumento dei prezzi delle materie prime come plastica e vetro, l'esplosione dei costi di trasporto. A colpire il settore delle bevande analcoliche è arrivata anche la carenza di anidride carbonica, additivo indispensabile per produrre bibite gassate. Il primo a lanciare l'allarme è stato il presidente e amministratore delegato di Acqua Sant' Anna, Alberto Bertone. «La Co2 è introvabile e anche tutti i nostri competitori sono nella stessa situazione» ha dichiarato. Al punto che il gruppo, leader in Europa con 1,5 miliardi di bottiglie vendute ogni anno, ha fermato le linee di produzione di acqua frizzante per mancanza di anidride carbonica. Ma nella situazione di Acqua Sant' Anna rischiano di trovarsi anche imprese che producono aranciate, limonate e altre bibite: l'80% degli analcolici venduti in Italia sono gassati.

 

 


Ma non tutte le aziende si trovano nelle stesse difficoltà. Il quadro, infatti, è molto variegato anche per il fatto che i contratti di approvvigionamento della Co2 sono spesso pluriennali. E alcune imprese sono tutelate dai rincari che si sono verificati negli ultimi mesi (circa il 30% in media). «Ci sono aziende che hanno dichiarato pubblicamente di aver già interrotto la produzione, altre invece hanno scorte nei magazzini che consentono di continuare, altre ancora non hanno problemi in questa fase», dice a Libero Giangiacomo Pierini, presidente di Assobibe, associazione di Confindustria che rappresenta i produttori di bevande analcoliche.


ENERGIA FUORI CONTROLLO
Ma da cosa dipende la carenza di anidride carbonica? Certo, i costi di trasporto e le difficoltà logistiche hanno giocato un ruolo. Ma a incidere sono stati soprattutto i prezzi fuori controllo dell'energia che si sono scaricati sui produttori. La Co2, infatti, può essere estratta dal sottosuolo o prodotta in stabilimenti industriali. In entrambi i casi, il consumo di energia è molto alto. I produttori, per contenere i costi, da un lato hanno ridotto o rallentato l'attività. Dall'altro hanno aumentato i prezzi a livelli che non tutte le imprese sono in grado di sostenere. «Siccome ci sono diversi usi industriali per la Co2» prosegue Pierini, «alcuni fornitori hanno deciso di non vendere più alle imprese che rappresento ma ad altri, ad esempio il mondo della sanità o della conservazione, comparti che sono in grado di pagare di più». Anche perché il potere contrattuale dei produttori di bevande analcoliche è piuttosto basso. «Il 64% delle nostre imprese associate sono piccole e medie: rispetto ad aziende grandi e strutturate hanno più difficoltà ad approvvigionarsi sui mercati internazionali», sottolinea il numero uno di Assobibe.

 

 


Ma la carenza di Co2 è soltanto l'ultima mazzata che colpisce un settore che ancora non si è ripreso dalla pandemia. In termini di volumi, infatti, le chiusure a singhiozzo di bar e ristoranti degli ultimi due anni hanno ridotto le vendite di oltre il 30%. I rincari degli ultimi mesi, poi, hanno fatto il resto. «Abbiamo assistito a un generale aumento dei costi che si ascrive a un incremento compreso tra il 30 e l'80% dei prezzi delle materie prime e di quelle usacorate ma che si applicherà anche alle bevande che non contengono zucchero. «La sugar tax colpisce il 100% dei nostri prodotti. Per noi significa un aumento della pressione fiscale del 28%. Se a questo si aggiungono i rincari di energia e materie prime, il rischio di sopravvivenza è altissimo». Ma a gennaio entrerà in vigore anche la plastic tax, 45 centesimi di euro per ogni chilo di plasticamonouso venduto, una tassa che colpirà il 70% dei volumi delle bevande analcoliche. «Non vogliamo ristori o sostegni. Ma visto che i problemi attuali non si risolveranno in poche settimane, chiediamo almeno l’eliminazione della sugar tax. Una misura che darebbe alle imprese la possibilità di respirare» conclude Pierini.

 

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