L’ALLARME DEGLI ALLEVATORI SULLA DIPENDENZA DALL’ESTERO
Importiamo oltre sei bistecche su dieci
Cremonini (Assocarni): «I 300 milioni previsti dal “Coltiva Italia” possono però rilanciare la zootecnia italiana»
ATTILIO BARBIERI
■ L’Italia è sempre più dipendente dall’estero per l’approvvigionamento di carni. Se nel 2019, l’anno prima del Covid, il grado di autoapprovvigionamento raggiungeva quasi il 55%, nel 2024 è precipitato addirittura al 37,2%. Oltre sei bistecche su dieci fra quelle che finiscono sulle nostre tavole sono importate.
Il tema, è bene chiarirlo subito, non è il ritorno all’autarchia, ma come si è capito chiaramente con l’inflazione a due cifre innescata per la carenza di materie prime energetiche e alimentari, legata all’invasione russa dell’Ucraina, più è alta la percentuale di prodotti importati e più siamo esposti alle speculazioni che si scatenano regolarmente sui mercati mondiali. Non si tratta di rivendicare la superiorità delle nostre produzioni. È una questione di sopravvivenza.
Fra l’altro il fenomeno accomuna tutta l’Unione europea, ance se alcuni Paesi sono fortemente eccedentari nella produzione di carne - è il caso di Irlanda e Polonia - mentre altri sono deficitari, naturalmente l’Italia ma anche la Germania, la Croazia, il Portogallo e la Grecia. Conseguenza del crollo nelle macellazioni e negli allevamenti. Nei vent’anni che vanno dal 2005 al 2025 i Paesi dell’Unione europea hanno perso 7,9 milioni di capi (-10%) e un milione di tonnellate di carne prodotta l’anno.
«Importiamo il 63% di carne, una dipendenza che espone la filiera a volatilità e incertezze strutturali», spiega a Libero il presidente di Assocarni, Serafino Cremonini, «ma si apre un’opportunità concreta: possiamo aumentare il patrimonio zootecnico nazionale sviluppando la linea vacca–vitello, che rappresenta anche un fondamentale presidio delle aree interne, isole comprese, che hanno subìto l’abbandono dell’allevamento negli ultimi 40 anni, contribuendo a mantenere attività produttive ed evitando disastri ambientali».
La svolta è possibile, spiega sempre Cremonini, perché «perla prima volta, grazie al lavoro del ministro Lollobrigida, arriva uno strumento adeguato alla sfida. Il disegno di legge governativo “Coltiva Italia” infatti stanzia 300 milioni per la zootecnia e rappresenta una decisione politica forte».
Ma c’è un’altra buona notizia, vale a dire «il risultato ottenuto sempre dal ministro dell’Agricoltura sul regolamento sulla deforestazione, il cui rinvio e le semplificazioni approvate a Bruxelles», conclude il numero uno di Assocarni, «dimostrano la capacità del governo italiano di incidere in Europa e di difendere la competitività delle nostre filiere. Il combinato tra gli interventi nazionali e i correttivi arrivati da Bruxelles segnano l’avvio di una fase nuova in cui, per la prima volta dopo anni, si creano finalmente le condizioni per far ripartire la zootecnia italiana. La sfida ora è tradurre questo nuovo contesto in un aumento reale della produzione nazionale e in una progressiva riduzione della dipendenza dall’estero».
Dipendenza che diventa sempre più rischiosa, visto che i consumi pro capite di carni bovine nei Paesi con più di 20 milioni di abitanti, sono aumentati soltanto nell’ultimo anno del 2,9%. E se cresce la domanda i prezzi non possono che salire.
«Ogni anno i nostri allevatori importano oltre 900mila vitelli da ristallo, portando all’estero oltre un miliardo e 300 milioni, soprattutto in Francia», puntualizza il direttore di Italia Zootecnica, Giuliano Marchesin, «finanziando l’acquisto di vacche nutrici al 50% e finanziando la copertura degli interessi bancari sulla restante parte, sicuramente riusciamo ad aumentare il patrimonio italiano di vacche nutrici, attualmente fermo a 370mila capi, in diminuzione, con almeno 170mila vacche nutrici, che potrebbero fornire in 5 anni, oltre 750mila vitelli da ingrassare nei nostri allevamenti, con un saldo attivo di circa un miliardo, trattenuto in Italia, rispetto ai 300 milioni investiti». Gli allevatori però chiedono di partecipare ai tavoli tecnici: «300 milioni di euro sono una cifra importante», aggiunge Marchesin, «se ben organizzata sotto il profilo di decreti e regole, può darci la possibilità di diminuire la dipendenza dall’estero, puntando alla ricostruzione di mandrie di vacche nutrici specializzate da carne. Gli allevatori, però, vorrebbero partecipare attivamente a scrivere le regole per un progetto reale ed efficace».




