I black cab di Londra. Le macchine gialle di New York. Quelle bianche di Milano. Ma anche le ambulanze, che sono più o meno uguali in tutto il mondo e che per sfrecciare sulle strade, in città, mica possono permettersi di perdere tempo col navigatore. È che guidare senza il gps fa bene: allena la mente, tiene la memoria occupata, protegge pure dall’Alzheimer. Nel senso: tassisti e autisti dell’emergenza sembrano essere, professionalmente, tra le categorie meno soggette alla malattia dei ricordi.
Premessa (doverosa): quanto stiamo per raccontare fa parte di uno studio scientifico, persino significativo perché è stato condotto dall’università statunitense di Harvard e pubblicato sulla rivista di ricerche mediche Bmj, epperò é ancora tutto da confermare. Tanto per cominciare si tratta di una tesi (anche se supportata da dati e statistiche) e in secondo luogo la scienza fa così, procede per piccoli passi, alle volte per tentativi, controlla, non si ferma al primo sospetto. Chiarito il punto, sì: secondo gli studiosi americani stare tutto il giorno al volante e memorizzare percorsi, vie e carreggiate aiuta a tenere concentrata la memoria. Per dirlo è stato necessario spulciare milioni di documenti (nove milioni, per essere precisi), quelli dei certificati di morte tra il 2020 e il 2022 del National vital statistics system, che é una sorta di immenso database intergovernativo a stelle e strisce.
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Si son messi lì con molta pazienza, i ricercatori di Harvard, e hanno estrapolato i file dei propri connazionali deceduti con una patologia in qualche modo collegata all’Alzheimer, poi hanno diviso il materiale in base a 443 professioni. Be’, il risultato è stato che dei circa 16mila tassisti presenti nell’elenco solo 171 (ossia appena l’1,3%) è rientrato nel campione. Tra i “colleghi” delle ambulanze, tra l’altro, il dato era ancora più sorprendente: in tutto ne avevano contati 1.348, ma quelli che presentavano un legame con la malattia erano appena dieci (segnando lo 0,74%).
La questione si è fatta più complessa quando è saltato fuori che alcune tipologie di lavoratori generalmente simili presentavano tassi assai più alti: sia gli autisti dei bus che quelli dei tram, sia persino i piloti di aerei o i comandanti delle navi, erano lontani dai numeri “da record” dei tassisti, considerato che la media nazionale (statunitense) si era assestata a un’incidenza dell1,69% di decessi sulla cui cartella clinica rientrava anche la parola Alzheimer. Allora com’è possibile?
La risposta che si sono dati al di là dell’Atlantico ha un nome ben preciso: ippocampo. L’ippocampo è quell’area del nostro cervello che “trasforma” la memoria e che ci permette di essere orientati nel tempo e nello spazio: è anche una delle zone che viene precocemente colpita dalla malattia. I tassisti, almeno quelli abituati a conoscere lo stradario come le loro tasche e senza doverlo consultare, così come gli autisti delle ambulanze, che a maggior ragione devono essere preparati a ogni eventualità, allenano quotidianamente il loro ippocampo e questa “ginnastica cognitiva” potrebbe essere la spiegazione scientifica alla base della loro poca affinità (per fortuna) all’Alzheimer.
Oggi siamo abituati a controllare le mappe digitali, i percorsi preimpostati (che, tra parentesi, mica é detto siano anche i migliori), i tragitti tracciati di blu elettrico sulla cartina del cellulare: guardiamo lì, memorizziamo zero, non ci accorgiamo nemmeno di quello che c’è fuori dall’opzione implementata.
Chi invece, per lavoro, é uso all’esatto opposto, cioè a guardarsi attorno e a ricordare traverse, angoli, sensi unici e ztl, tiene il proprio cervello più in forma. Una volta si diceva che fare le parole crociate fosse il modo migliore per supportare la memoria, forse spegnere il navigatore (attenzione: i tassisti lo fanno ogni giorno, sforzarsi di imparare a memoria la strada per la casa al mare una volta all’anno male non fa ma non è la stessa cosa) è meglio.
ATTIVITÀ PREVENTIVA
«Non consideriamo i nostri risultati definitivi» spiegano gli autori di questo studio che è “osservazionale” e quindi non va oltre il mero monitoraggio, «ma qualcosa di utile per generare nuove ipotesi. Saranno necessarie ulteriori ricerche per stabilire in mondo certo se il lavoro cognitivo di orientamento spaziale influenzai, rischio di morire con l’Alzheimer e se, quindi. si può pensare a qualche attività potenzialmente preventiva». Peraltro, agli inizi del Duemila un’indagine britannica aveva già evidenziato che i cabby di Londra avessero in media un’ippocampo più sviluppato. Due indizi non fanno una prova. Però ci sono vicini.