Gaspare: "Io sono quello senza barba. Zuzzurro mi manca ma vado avanti"
«Ho archiviato il mio dolore. Adesso torno in scena». Si alza il sipario su Nino Formicola, in arte Gaspare. A un anno dalla scomparsa di Andrea Brambilla (Zuzzurro), l'attore comico pubblica l'autobiografia del duo che negli ultimi quarant'anni ha rappresentato uno dei punti di riferimento della comicità televisiva e teatrale. Formicola, partiamo dal libro. «Si intitola Io sono quello senza barba, quarant'anni di carriera che hanno un inizio e purtroppo una fine. Esperienze, incontri, aneddoti che hanno segnato il cambio radicale del mondo dello spettacolo dagli anni '70 a oggi». Aneddoti? «Beh, quando decidemmo di andare da Berlusconi a dirgli che non avremmo più fatto il Drive in. Sbagliammo data: era il giorno in cui il Milan non riuscì a entrare in Coppa Uefa. Era furibondo. L'incontro con Baudo, avvenuto in un hotel, lui che usciva dalla doccia fresco di trapianto tricologico. Sembrava Lex Lutor. Poi mille altri aneddoti da camerino. Ma sono al limite del pornografico». E adesso? «Da giovedì 23, sono in teatro a Milano in coppia con Alessandro Benvenuti in Tutto Shakespeare in 90 minuti. Poi andrò in tournée con Forbici e follia, un'esilarante commedia gialla che porto in scena con altri 6 attori». E da solo, Gaspare? «Sto scrivendo Dialogo tra un comico e un pc, un excursus sulla comicità al cospetto della tecnologia. Nel frattempo ho cantato nel nuovo disco di Giangilberto Monti, un omaggio a Jannacci con atmosfere da cabaret anni '70 e '80. Ma, basta con Gaspare. Zuzzurro non c'è più. E non avrebbe senso riformare un altro duo comico, ci sarebbe il confronto con noi e rischierei di sminuire il lavoro fatto in 40 anni». Da solo è apparso a Glass di Antonio Ricci. «Mi ha chiamato e mi ha detto: quando hai un incidente in auto se non guidi subito, non guidi più. Mi sono lanciato con un nuovo personaggio, un cieco, non un “non vedente”, arrabbiato con la modernità. La mia impronta umoristica è piaciuta anche ai ragazzini in studio. Ho pensato: ce l'ho fatta…». Parliamo di comicità in tv. «Credo che le grandi trasformazioni siano da attribuire a Non stop, il primo esempio di un nuovo modello comico e Emilio, l'ultimo. Ci occupavamo di attualità stringente, l'uso dell'eidophor, i finti collegamenti, i finti giornalisti. Nacque lì la matrice dei programmi che ne seguirono». Zelig oggi sembra aver smarrito il suo smalto. «Il locale Zelig con la sua fucina di nuovi comici può continuare per altri quarant'anni. Il programma deve avere la fortuna di cogliere i frutti maturi, tanto maturi che ti cadono tra le braccia. Non sempre accade». In tv sempre più comicità si coniuga con satira. «Satira è politica. E politica significa parlar male di qualcuno. Per questo, per anni Andrea e io ne siamo stati alla larga. Crozza ha trovato una via di mezzo. Ad esempio l'ho visto quando ha trattato il sinodo dei vescovi, non insultava nessuno. Si schierava contro un concetto. E mi piace quando nelle imitazioni prende di mira un'idea che a lui pare sbagliata. Non la persona». Vede all'orizzonte dei nuovi Zuzzurro e Gaspare? «Da tempo mi occupo di giovani comici. Molti si perdono purtroppo perché non hanno il coraggio di insistere. Oppure perché, come diceva il mio vecchio amico Beppe Recchia: dipende se vuoi passare alla storia. O alla cassa». C'è uno stallo anche tra i duo? «In due è più difficile. Oggi ci sono Ficarra e Picone che vennero plasmati agli inizi da Andrea. Venivano in teatro a vederci. Erano in tre e si chiamavano “Chiamata urbana urgente”. Vedo molto bene Ale e Franz. Sono bravissimi». Quanto le manca Zuzzurro? «Da morire. Me l'immagino qui accanto a me. Mi avrebbe detto: ma smettila di dire pirlate…». di Stanislao Fabi