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Phil Spector, arriva il capolavoro tv sul produttore genio dei Beatles, con un Al Pacino capellone

Giulio Bucchi
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«Se Gesù è morto è perché era ancora figlio di Dio». Phil Spector, lucido dietro lo sguardo vacuo, flebile ricordo dell'incidente in auto che gli costò un totale di settecento punti di sutura, non avrebbe abbandonato la tesi complottista della congiura nemmeno davanti ad una giuria universale. Narcisista archetipico, Spector vedeva invidie ad ogni angolo della sua vita dicotomica, marchiata dal successo e dall'infamia di un omicidio che, ancora oggi, giura di non aver mai commesso. Le mani tremanti, effetto collaterale degli psicofarmaci ingeriti con l'aiuto del whisky, non gli avrebbero permesso di stringere il calcio di una pistola, figuriamoci di sparare per uccidere. Lana Clarkson, ragazzetta ossessionata dall'ideale di fama Hollywoodiana e morta tra le mura kitsch del castello privato di Spector, si è suicidata. Così, il produttore discografico più in voga nella seconda metà del Novecento (fu lui a produrre Let it be, ultimo album dei Beatles) ha giurato di fronte a tribunali e avvocati, anni prima che la sua storia divenisse oggetto di un piccolo capolavoro targato Hbo. Phil Spector, film tv creato ad hoc dall'emittente via cavo statunitense e poi comprato da Sky Italia, non è solo ricostruzione storica di uno dei fatti di cronaca che più sconvolse l'ambiente musicale anni Sessanta. No, Phil Spector, in onda su Sky Cinema 1HD martedì 28 ottobre alle 21.10, è la prova provata, l'atto finale delle infinite discussioni in merito, di come si possano creare prodotti di qualità anche senza il tornaconto di un biglietto da acquistare per un pugno di dollari. È la demolizione definitiva della barriera che anni fa separava il cinema dalla televisione. Nato per onorare il piccolo schermo e realizzato grazie alle performance mirabili di Al Pacino (Phil) e Helen Mirren, avvocato malato di cancro, il film tv a firma David Mamet è uno dei titoli che il team di Sky Italia ha voluto portare nel Belpaese insieme a qualche buona speranza. Se infatti, oggi, Hbo è sinonimo di grande, grandissima, qualità, Italia è sinonimo di mediocrità. La nostra televisione, potenzialmente creativa, si è ridotta ad essere ricettacolo di programmi scadenti e trasposizioni di show esteri in cui non brilla nemmeno la più piccola fiammella di ingegno nostrano. Un peccato se si pensa che sperimentare costa poco e niente, più di una fiction, meno di un film da sala. Il resto viene da sé, attori, riconoscimenti, pubblico. Un trionfo che nel caso di Phil Spector è più che giustificato. Al Pacino è incredibile nei panni del produttore, a tratti vien da chiedersi se l'avanzare dell'età gli abbia portato un principio di demenza che prescinde dalla sceneggiatura. Ma la rabbia tirata fuori in alcuni passi del film, novanta minuti totali, non lascia spazio a questo tipo di dubbi. E la relazione intessuta con Helen Mirren, l'avvocato Linda Kenney Baden, nemmeno. Sono la pazienza e l'abilità di Spector ad averla trasformata da accusatore in difensore. Nonostante la mancanza di prove, lei è convinta dell'innocenza di Spector. E su questa relazione che la moglie di Spector, quella vera, ha definito fittizia si giocano novanta minuti di agonia, in cui lo spettatore aspetta ignaro di vedere cosa succederà quando Phil prenderà posto in tribunale. Mamet lo racconta, ma solo dopo aver messo le mani avanti. Phil Spector «è un lavoro di finzione», si legge all'inizio del film, «non è basato su una storia vera. È solo un dramma ispirato da persone esistenti durante un processo esistito». di Claudia Casiraghi  

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