Gaetano Curreri degli Stadio: "Vi spiego come abbiamo vinto Sanremo"
L'alba più dolce, a Sanremo, l' ha vissuta a 63 anni, quando non sperava più di entrare nella piccola grande storia del Festival con la sua band del cuore, gli Stadio. Gaetano Curreri, dopo il sabato sera dei miracoli e la notte trascorsa brindando a una vittoria che sembra il meraviglioso epilogo di una missione impossibile, ha trovato il tempo di chiudersi nella sua camera d' hotel e di rimirarsi quello strano animale che sorregge una palma, cioè la pacchiana statuetta assegnata a chi trionfa all'Ariston. Curreri, uno che ha vissuto due vite, dopo aver rischiato di morire sul palco qualche anno fa quando lo colpì un' ictus - dal quale si è poi completamente ristabilito - è un signore davvero unico nello show-business. Il gruppo di cui è frontman suona da oltre 30 anni in Italia e nel mondo, nato come band di corredo di quel genietto che era Lucio Dalla. E lui, Gaetano, è diventato negli anni uno degli autori preferiti da tanti musicisti, Vasco Rossi in primis. Sabato notte, con un pizzico di magia, il Festival 2016 non è andato nelle mani di uno dei soliti cantanti usciti dai talent, ma ha visto il trionfo degli Stadio, davanti a Francesca Michelin e alla coppia super-favorita Caccamo-Iurato. Gli Stadio si sono portati a casa vittoria finale, gara delle cover, premio per la miglior musica del Festival e premio dei voti dal web. Un trionfo. Curreri, con il simulacro tra le mani che lo consacra nuovo re della canzone autoriale, quasi non ci crede ancora. Si dia un pizzicotto: è tutto vero… «Mi sembra quasi impossibile, è stata davvero la sera dei miracoli, come diceva quel capolavoro di Lucio che ci ha regalato il premio per la miglior cover. Posso dire una banalità: ieri sera ha vinto la musica, la nostra musica. Noi amiamo soprattutto quella». La meravigliosa artigianalità degli Stadio ha avuto finalmente il premio che meritava, vero? «Sì. Questo Festival è stato il risarcimento di quello che abbiamo seminato nel passato, stagioni nelle quali i momenti difficili non sono mancati». Per esempio quando all' Ariston, arrivaste ultimi, nel 1984? «Sì, abbiamo molto odiato questo palco: quell' anno avevamo una bella canzone: Allo stadio. Il giorno dopo la votazione siamo ripartiti imbufaliti e ci siamo detti: mai più a Sanremo». Invece la vita concede sempre una seconda possibilità… «Nel 1986 tornammo con Canzoni alla radio. Risultato: ancora ultimi! Poi sono arrivati un quinto posto nel 1999 e un 13° nel 2007. Non ci speravamo più». Tutte e tre le giurie della finale, quella degli esperti, quella demoscopica e quella del televoto, vi hanno premiati. Un' elezione bulgara, la vostra? «Ci siamo commossi, abbiamo pensato ai nostri inizi, con Lucio. Ai tanti concerti concerti, ai dischi, soprattutto a noi». Vincere Sanremo da sessantenni: i nervi strizzano ancora? «Ripeto, ancora non ci crediamo ma è la summa del lavoro e dell' esperienza che abbiamo fatto fino a qui. Nati come band di Dalla, abbiamo faticato non poco per raggiungere la nostra identità ma ce l' abbiamo fatta, abbiamo una credibilità e un pubblico fedele che è cresciuto con noi». Siete stati tra i pochissimi, tra l' altro, a non salire sul palco dell' Ariston con il nastrino arcobaleno: una scelta? «Sono convinto che ognuno debba avere le proprie idee e le possa manifestare. Non sono contrario alle adozioni per tutte le coppie ma ho preferito salire sul palco mettendo sulla giacca la spilla dei Beatles». La canzone Un giorno mi dirai non è la solita filastrocca amore-fiori-amore. Parla del difficile rapporto tra padri e figli: questo il segreto del vostro clamoroso successo? «Penso proprio di sì. È uno spaccato generazionale con due amori in ballo: quello di papà verso una donna amata clandestinamente e quello dello stesso padre per la figlia». Lei, però, non ha figli: come ha creato questo piccolo capolavoro, insieme a Saverio Grandi? «Ho visto tanti padri egoisti non riuscire a relazionarsi con una figlia e pensare solo a sé. La costruzione simmetrica della canzone, il padre che dice di no a un proprio piacere e che si confessa, poi, con una figlia che a sua volta ha rinunciato alla propria felicità, non è un tema banale». È stata scritta per questo Festival? «No, era stata scritta per quello del 2015 ma il provino presentato a Conti non aveva ancora il sound Stadio». Da Los Angeles è arrivato, puntuale, il clippino di felicitazioni di Vasco Rossi: cosa le ha detto, in privato? «Era felice. Ma la cosa più bella è stata quando Vasco ha ascoltato per la prima volta Un giorno mi dirai. Mi ha detto: "Gaetano, questa è una canzone sulle rinunce, non la potrei mai fare. Non ho mai fatto rinunce nella mia vita"». Gli Stadio e Gaetano Curreri hanno avuto per maestro Lucio Dalla e per fratello di musica Vasco Rossi: non male, eh? «Lucio ci ha creati, mi ha convinto a cantare, mi ha spinto come fa un padre, anche con molta severità: quando suonavamo per lui, teneva gli zoccoli e un portachiavi pesantissimo accanto. Se sbagliavamo, tirava prima gli zoccoli, poi se continuavamo nell' errore il portachiavi». Vi manca molto? «Sì ma anche no: lui c' è sempre tra noi. Sotto i portici di Bologna sono in molti a incontrarlo, ancora». Il vostro nuovo album contiene Un giorno mi dirai e si intitola Miss Nostalgia. Lei vive di nostalgia? «No. Le canzoni del disco parlano in modo non malinconico del passato. L' album è stato ispirato dal ricordo di Lucio, che a Bologna chiamavamo Il Ragno, ed è un viaggio nella musica che facevamo con lui, nelle vacanze in Riviera, nelle amicizie, negli amori finiti. Ma senza tristezze». Bologna è davvero la Nashville della musica italiana? «Sì. E siamo fieri di portare avanti il senso di bolognesità proprio di quella che è la città italiana della musica. Oltre Lucio e Vasco, c' è il Maestrone Guccini che ci ribalta ancora tutte le volte che parla o scrive libri, c' è Gianni Morandi, c' è Luca Carboni e l' ultima stella nata sotto le Due Torri: Cesare Cremonini». Domani su quali strade cammineranno gli Stadio? «No, non ci saremo. Però se la Michielin rappresenterà l' Italia, potremmo scriverle una canzone nuova per l' occasione». di Leonardo Iannacci