Marco D'Amore, il Ciro di Gomorra: "In ognuno di noi si nasconde un'anima nera"
Marco D'Amore è seduto su una poltrona color cremisi del Franco Parenti a Milano. Sono le 18, il salone è deserto, tra 3 ore andrà in scena il suo American Buffalo, spettacolo teatrale assai apprezzato da pubblico e critica. Mi siedo al suo fianco, salta fuori Batistuta. «Per me Icardi può diventare il nuovo Bati», mi dice. Gli rispondo che «per me no, è un attaccante diverso, anzi, “diversamente fortissimo”». Cazzeggiamo, ma subito entro in scivolata come il Pasquale Bruno dei bei tempi. Senti Marco, lo so che certe cose ti fanno venire il nervoso, ma come si dice «via il dente, via il dolore»: questa storia che voi di Gomorra siete portatori insani di «cattivo esempio» ed esiste un clamoroso pericolo di emulazione come la vedi? «Bisogna fare una distinzione netta tra emulazione e fascinazione narrativa. Io sono cresciuto imitando il De Niro di Taxi Driver, il Pacino di Scarface, ma non per questo sono diventato un criminale. Il problema è quando questa fascinazione cerca un riscontro nella realtà per mancanza di un contraltare: la famiglia, la scuola, il nucleo da cui provieni che ti fa capire che quella esaltazione della cattiveria è fatta per mettere in evidenza una natura da combattere e non certo da emulare». Il procuratore Giuseppe Borrelli, capo della Dda di Napoli, parla di «immagine folkloristica» che Gomorra dà alla camorra. «È sbagliato affibbiare a Gomorra il compito di raccontare scientificamente la realtà, ma viceversa è riduttivo parlare di “rappresentazione folkloristica”. La verità sta nel mezzo: Gomorra indaga la realtà, ma mantiene il gusto di romanzare fatti e personaggi». Cioè, vuoi dirmi che Ciro di Marzio e Genny Savastano non esistono? Incredibile! «Le biografie dei nostri personaggi sono la somma di biografie di uomini che si sono macchiati di azioni efferate e che sono realmente esistiti. Ovviamente Genny e Ciro non esistono, ma quello che si vede e quello che raccontiamo è “storia”. In ogni caso non bisogna dimenticarsi che noi facciamo tv, il nostro non è un documentario». C'è una cosa che non capisco: perché un ragazzo dovrebbe voler vivere la vita di uno qualunque dei vostri personaggi: sono esistenze orrende e tristissime! «Infatti chi dice queste cose non ha le idee chiare. Rendiamoci conto che i ragazzi che vivono in certi quartieri disagiati non hanno come esempio “noi”, ma la realtà che, fidati, è n'ata cosa ed è certamente molto più “inquinante”». Gomorra è «Napoli e dintorni» o chi la pensa così... pensa una cazzata? «Gomorra è un luogo della coscienza, se tu cittadino del nord Europa o sudamericano preferisci chiudere gli occhi e raccontarti che vivi in un posto idilliaco e che quella è una roba confinata nel sud Italia... sono problemi tuoi». Hai conosciuto un qualche capo clan? «Io questa domanda la farei a te, perché tu li hai conosciuti sicuramente, ma non li hai riconosciuti. Ne sono certo. Sai quanta gente che scende a patti con la criminalità incroci e neppure lo sai? L'iconografia del cattivo con la coppola e la lupara è tramontata da tempo». Ti dà fastidio il fatto che la gente ti riconosca come Ciro e non come Marco l'attore? «Fuori dal set sono sempre più Marco e sempre meno Ciro, ma “essere Ciro” non mi dispiace affatto, anzi provo un profondo senso di gratitudine per quel personaggio. Se tra 20 anni mi ritroverò a fare il pizzaiolo potrò comunque dire “quello l'ho fatto”». È più forte il rapporto tra Marco D'Amore e Salvatore Esposito o quello tra Ciro e Genny? «Sicuramente Marco e Salvatore, perché non prevede tradimenti, dolori inflitti reciprocamente e, anzi, è fatto di affetto e bene sincero. C'è qualcosa di malato nel rapporto tra Ciro e Genny...». Nella serie hai simpaticamente strangolato la tua compagna, nella realtà qual è il rapporto con le ammiratrici? «Provo ad essere gentile con chiunque, senza distinzione di sesso. Sono tendenzialmente timido, ma di fronte a una dimostrazione così massiccia di affetto non ci si può tirare indietro. Dopo lo spettacolo qui a teatro mi fermo sempre delle ore a fare foto e video per mamme, zie, nonne...». Riesci a portare i giovani a teatro, un'impresa! «Questo è uno dei meriti di Gomorra: i direttori mi dicono che al nostro spettacolo si vedono i ragazzi che in genere non frequentano il teatro». Quanto sei vanitoso? Tantissimo? «Per farti capire il mio livello di vanità ti dico che probabilmente sono l'unico attore che dopo aver girato non si riguarda mai. Mi affido completamente agli altri, non mi facite vedere nient perché non mi tollero proprio». Racconti sempre storie di disagio, periferia, malessere in generale. Non ti rompi un po' le balle? Ma un bel Cinepanettone? «Ma quello è il mio solco! Diciamo che in futuro spero di mettermi alla prova con cose un po' diverse per spingere i miei limiti un po' più in là». Qua e là sul web c'è chi scrive «D'Amore è il più bravo di tutti». Ti capita, chessò, di immaginarti ad Hollywood? «Io non ce l'ho proprio il sogno americano. Ho visto in questi anni tanti colleghi meravigliosi bistrattati, ridotti a dire due battute in qualche film che poi nessuno ricorda. Mi voglio affermare qui, voglio essere sostenuto dal mio Paese e poi, magari, affrontare un lavoro all'estero, ma con la maturità e la forza di chi può pretendere qualcosa di importante». Ti sei arricchito negli ultimi anni? «Faccio molta fatica a parlare di soldi, vengo da una famiglia di stipendiati: un'infermiera e un insegnante con 3 figli. Si faceva “economia”, come si dice. Ti potrei dire che guadagno tremila euro al mese, che sono tantissimi per una persona comune ma rapportati al mio mondo non sono un cazzo. Immagino che 20 anni fa un attore della mia età e protagonista della mia serie avrebbe già 3 case... io non ho la casa, non ho proprietà, però ovviamente vivo una vita fortunata, quindi non mi posso proprio lamentare». Film in uscita ne hai? «Ho finito di girarne uno proprio ora nel quale credo tantissimo, si chiama Drive me home, i protagonisti siamo io e Vinicio Marchioni, quindi per la prima volta uniamo Gomorra e Romanzo Criminale, ma in ruoli decisamente diversi. Un film di un'intensità pazzesca». Niente Cinepanettone insomma... «Ma non mi sentirei mai all'altezza! La commedia che ho in mente io è molto più vicina alla tragedia che alla farsa». Morirà prima l'«Immortale» Ciro o Gomorra? «In Gomorra la protagonista è la morte, non i personaggi. Nessuna serie è così...». Forse Il Trono di Spade: lì muoiono come mosche... «Sì ma lì ci sono una moltitudine di personaggi, noi siamo in sei!» . Qual è la tua serie preferita? «Eh, mi piacciono The Wire, House of Cards... ma il capolavoro assoluto è Breaking Bad. E poi mi sono sparato in tre giorni tutto il nuovo Twin Peaks perché sono un “lynchiano” convinto: è il mio regista preferito, sono malato di Lynch». Andiamo con i domandoni da mille e una notte: te ne frega qualcosa della politica? «Sono cresciuto in una famiglia molto interessata. Ci hanno abituato a leggere i quotidiani, ancora oggi leggo 4 o 5 giornali tutti i giorni, anche con idee opposte, così mi faccio più idee». Lo sai che sei un esemplare in via d'estinzione, tipo panda? Altro domandone originale: dove sta andando il Paese? «C'è un gap quasi incolmabile tra chi sta a Palazzo e il popolo. Quando ero ragazzino io c'era un interesse, capivamo che quello che accadeva intorno a noi era direttamente proporzionale alle cose che avremmo potuto fare nella vita. Oggi ti rispondono “che me ne frega ammé”. Mi chiedo come sia possibile che chi amministra la cosa pubblica non si spaventi di fronte a un Paese che diserta le urne al 45%». Berlusconi è un po' l'Immortale della politica... (ride). Lo so, è una stronzata... «Sono cresciuto con l'idea che chi occupa certi posti debba provare in tutti i modi ad essere esemplare, ma non perché non debba esistere un politico senza macchia, però se tu hai il favore e la fiducia del popolo devi provarci. Ma non vale solo per Berlusconi, vale per tutti quanti: t'aggia dicere 'a verità, ad oggi non ho una figura politica di riferimento che riesco a stimare». Marco, prima dei saluti mi devi togliere una curiosità: tu sei uno che - che ne so - ammazza le zanzare d'estate, fa del male a qualcuno o sei l'esatto opposto di Ciro? «Ti dico la verità: io sento di avere una natura pericolosa. Anzi, ciascuno di noi ha in nuce qualcosa di pericoloso. Questa cosa è viva dentro di me, però è tutto chiaramente edulcorato dall'educazione, dalla formazione culturale». Però, scusa, tu non escludi quindi che... «...Non lo escludo perché quella è la nostra natura! Se tu cresci in un quartiere dove non c'è neppure un'altalena, dove le strade sono scassate, trovi animali randagi e i tuoi familiari sono in galera... sei sicuro che in determinate condizioni saresti diventato il giornalista che sei oggi? Quelle nature sono dentro di noi! Quando sei messo di fronte all'“o tu o io” che cosa fai?». (il teatro è vuoto, le luci bassissime, Marco mi fissa e per un attimo mi sembra Ciro). ...Io faccio quello che vuoi tu Ciro! Tutto quello che vuoi! Lo giuro! «Che scemo...». di Fabrizio Biasin @FBiasin