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Pupi Avati, una vita da Oscar tra surgelati, note e nani

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Francesco Specchia
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«Avere un cuore da bambini non è una vergogna, è un onore», sussurrò il regista, lisciandosi la barba. Se immaginate questa frase pronunciata davanti a un leggendario jazzista anni 30, Bix Beiderbeck (a cui nel 1991 lo stesso regista dedicherà un film altrettanto leggendario), tra una sorsata di whisky e un sorriso che riverbera sul pianoforte tirato a lucido di un grande piroscafo, mentre dall' oblò fa capolino di un oceano fellininano, be' è in questo quadretto che avrete l' essenza esatta della vita di Pupi Avati. Il quadretto di cui sopra, per inciso, è totalmente immaginato nella biografia romanzata, La nave dei sogni (Minerva, pp146, euro 15) scritta dal giornalista Guido Guerrera, secondo Fernarda Pivano uno dei massimi esperti di Hemingway. Ma è pur vero che Pupi, classe '38, «l' Orson Wells di Bologna», compie cinquant' anni di carriera. E a festeggiarla, la carriera, spunta ora Guerrera. Il quale decide di indagare la vita di Avati, e la sua anima da biassanott, da masticatore della notte che ha trasformato, appunto, i sogni giovanili di un giovane dipendente della Findus, in un bouquet di successi. Guerrera, per evitare l' epicedio, ha tradotto Avanti in un romanzo; ne ha ripercorso infanzia, adolescenza e maturità slalomando tra gli aneddoti; ha imbarcato Pupi e il di lui fratello sceneggiatore Antonio sul "Gloria", un piroscafo immaginario diretto verso il cuore di Brooklyn, «pronto ad accarezzare i miti di ieri e di oggi»; e li ha fatti incontrare con tipi spiazzanti e bizzarri, molti dei quali hanno davvero fatto da contrappunto alla carriera del nostro. Per esempio, si ritrovano, a passeggiare su quella prua, femmine incantate ispirate alla Marilyn degli anni '50, o capitani e marinai dai poteri magici, o pseudomafiosi da operetta assistiti da pseudoavvocati se si vuole peggiori. O, perfino, artisti come Lucio Dalla di cui Pupi immagina l' omicidio, spingendolo giù dalle guglie della Sagrada Familia, in un gesto quasi misterico senza movente e senza corpo. Anzi, forse il movente, c' era. LA RUGGINE DEL LIVORE Lo stesso Pupi un giorno mi raccontò di quando, da promettente clarinettista jazz nella Rheno Dixieland Band, si vide soffiare dal nuovo arrivato Dalla, il ruolo in orchestra perché «la sua capacità non aveva uguali, io, terrorizzato, non riuscivo più a suonare, gli stavo dietro con l' ansimare dell' assassino, finché non mollai e, per una circostanza fortuita vidi Otto e mezzo e capii cos' è il cinema...». Il livore è come la ruggine, fai fatica a scartavetrarlo del tutto. La nave dei sogni mette in bocca a Pupi delle verità psicanalitiche. Sulla sua alta concezione di sé, per esempio, l' uomo afferma: «Io sono un sognatore un sentimentale e un folle innamorato di me stesso, sono infantile e timido. Se un film riesce bene voglio che tutti festeggino con me, così come quando arrivano critiche feroci esigo che il lutto che mi affligge sia condiviso da amici e parenti». Sul fratello, faro di vita essenziale quanto misconosciuto, ammette: «Antonio è più pragmatico, più solido, con la testa a posto; ed è travolto dallo tsunami delle mia prepotenza». Eppoi, teneramente, cita le sedute spiritiche paradossali della zia che chiedeva agli spettri lumi sul nascondiglio segreto di Hitler. E ricorda i suoi rapporti con la madre, severa ma giusta, una che fingeva di fare arrestare il figlio con veri carabinieri per furto di fumetti; ma che l' ha sempre incoraggiato negli afflati creativi al punto da pagare gli strumenti degli spiantati della sua band. Divertiti sono anche i rapporti di Pupi con le donne: «La bellezza è un dovere, specie nelle donne; un concetto da tenersi caro. Oggi brutte non ce ne sono, non avete idea di cosa sono le brutte. Quando sono nato io c' erano i brutti, i mostri, non c' era l' amniocentesi»: è una frase che ancora oggi ripete spesso. IL PROTO-SOVRANISTA Ora, al di là di ogni libro, la carriera di Avati - personaggio oggi quasi abbandonato nell' oblio dei "riconosciuti maestri"- necessita di un doveroso repechage. Vuoi perché, a parer mio, Avati è stato una sorta di cineasta proto-sovranista. I suoi temi attraversati da un cattolicesimo divertito, dal senso della famiglia e dal recupero dei regionalismi sublimati in chiave nazionale (fu per lui che si coniò il genere "horror padano", in concomitanza con un suo film-cult La casa delle finestre che ridono), se soffiati nel vento politico d' oggi risultano in linea con lo spirito del tempo. Vuoi perché la sua vita stessa, da italiano medio issato sul carro della gloria, attraversa 50 anni di storia italiana. Mi ricordava Pupi: «Nel '64 io ero il primo funzionario Findus italiano, per quattro anni della mia vita dopo avere fallito con la musica. Forse a ragione il mio primo film fu un horror, Balsamus, l' uomo di Satana. Il protagonista doveva essere un nano come nei film inglesi della Hammer; i nani, allora, andavano via come il pane. E - lo giuro - il nano che trovai si chiamava Ariano Nanetti. Ci procurò il finanziamento del film a me e a Alberto Bartolani, un amministratore di condomini aspirante aiuto-regista. Eravamo al Bar Margherita (da cui l' omonimo film di molti anni dopo, ndr) entrò Nanetti vestito di grigio, una cravatta d' argento. Ci presentò Mister X, un albino elegantissimo che diceva solo "capolavoro!" e che ci staccò 16 assegni. Immagini il clima da retro bar: notte bolognese, un nano e un albino, capolavoro, 160 milioni sul tavolo. Il film fu un disastro. Ma io ho imparato coi film sbagliati; chi perde la guerra racconta meglio la storia, si vince nell' ebrezza, si cresce nella sofferenza». Da lì, la stura a decine di capolavori: Jazz band, Regalo di Natale, Magnificat, Storia di ragazzi e di ragazze, Il cuore altrove, Il figlio piccolo , tanto per andare random; su su fino alla sceneggiatura pluripremiata di Un ragazzo d' oro con Sharon Stone e Scamarcio, del 2014. Se oltre che a farlo salire su una nave immaginaria, qualcuno riportasse Pupi su un set, direi che non sarebbe solo una botta di nostalgia... di Francesco Specchia

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