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Joe T Vannelli, il cuore della house: "Io sono uno chef, i dj star senz'anima un fast food"

Leonardo Filomeno
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"Un pittore non può dire di essere un artista se per disegnare usa il computer. Servono una cultura, una mano, un'anima". Per Joe T Vannelli, 55 anni di cui quasi 40 in pista, praticamente una leggenda vivente della house italiana, un dj "che è nato per la musica", quest'anima oggi s'è un po' persa. E internet ha sicuramente qualche colpa: "Ha generato mostri creati col marketing: ma dov'è la sostanza?". Dopo questa frase Vannelli si ferma per qualche istante. E sorride. Poi riparte e inizia a parlare dell'album The Vannelli's La Famiglia, incluso nel doppio cd Supalova In The House, in uscita il 17 luglio. Due inediti più 10 successi che raccontano la storia di un dj capace di dar vita a un genere tutto suo. Con la house a fare da ossatura, un suono sempre riconoscibile e la tavolozza dell'istinto a dettare le regole.

Dance Shout Turn Around è un pezzo potente e ambizioso, lo porterai addirittura ai Grammy. 
"E' il primo dei 2 inediti e contiene un messaggio importante: ballare è una liberazione. Sempre. E' cantato da Helen & Terry, due eccezionali coriste di Philadelphia. L'ho prodotto con la stessa energia e con lo stesso stato d'animo del mio classico Sweetest Day Of May".
Mentre nell'emozionante Need Somebody guardi alle radio e c'è pure una bella sorpresa: canta Eugenio Finardi. 
"Sono riuscito nell'impresa di avvicinare un artista che appartiene ad un altro mondo, quello del rock, a un genere come la house. E soprattutto in quella di far trasmettere per la prima volta un pezzo di Finardi su Radio Deejay. E' la dimostrazione che noi italiani, nella musica come nel cibo, siamo sempre i numeri uno".
Perché l'album s'intitola La Famiglia? 
"Sono certo che la nascita dei miei ragazzi sia stata la linfa vitale della mia carriera. Nella foto che ci ritrae in copertina è come se guardassi me stesso proiettato al futuro. Non era indispensabile che mi consegnassero del loro materiale da inserire nel disco. Il mio obiettivo, oggi, è far sì che recepiscano la mia grande voglia di guardare al futuro senza paura".
Anche loro fanno i dj: cosa dicono di questo padre ancora così energico e predominante? 
"Con Dave e Andrea c'è una sana competizione: consiste nel dover rimarcare il mio dominio, nel far capire che le mie scelte restano le migliori. Un giorno arriveranno al successo con le loro forze, senza aiuti e senza che il mio pensiero li contamini. La concretezza con cui ho sempre affrontato il lavoro sarà l'eredità più importante".
Tra i traguardi più recenti c'è la 500esima puntata del radioshow Slave To The Rhythm: una consacrazione, se pensiamo che certi programmi sanno di vecchio dopo un anno. 
"Cerco di dare una visuale ampia di quello che succede nella house. Il meglio del meglio, anche se a volte il meglio potrebbe essere qualcos'altro. La produzione è enorme, devo sopperire alla voglia di cambiamento. Se penso ai Disclosure, a Paul Kalkbrenner o a Maceo Plex, artisti che supporto da anni, rivedo la mia stessa voglia di lasciarsi qualcosa di importante alla spalle".
Restando in zona traguardi, il 26 luglio sei atteso al Tomorrowland. E' un palcoscenico pesante, come ti stai preparando? 
"Mi troverete nello stage Age Of Love. La proposta mi è stata fatta dai proprietari del festival dopo essermi esibito davanti a loro a mia insaputa. Anche per questo, sono tenuto a portare la mia esperienza davanti a questo tipo di pubblico. A far capire che il nostro non è uno spettacolo organizzato al tavolino, ma un mestiere fatto di fiuto, passione, sudore. Tutto non può ridursi alla sincronizzazione di un video. Io sono alla stregua di uno chef stellato: devo mixare gli ingredienti giusti per poterli dare a chi mi giudica".
Torna il discorso che facevi all'inizio: se sei forte col marketing, oggi vinci a mani basse. 
"E intanto alcuni bravi dj, magari sprovvisti di un ufficio marketing, fanno fatica ad emergere. Se domani mi faccio vedere nudo, tutti parleranno di me, ma è una cosa che non mi piace. Non posso pubblicizzare il mio lavoro in questo modo. Io voglio offrire la purezza della musica".
Se parliamo di intimo e console, non è che vengano in mente chissà quanti nomi...  
"Vero, pensi a Calvin Harris, che non può essere considerato alla stregua di un Jimi Hendrix, uno che non sapeva leggere le note sullo spartito ma conosceva bene la sua chitarra. Infatti il primo resterà nella storia come un mito della musica, il secondo come l'artista che ha venuto più dischi perché ha capito cosa spinge la gente a comprare. Esattamente come McDonald's ha capito come vedere i panini. Spiace dirlo, ma artisti come Guetta, Harris o Avicii oggi sono il McDonald's".
Quello con la grande catena è un paragone ricorrente: l'EDM proprio non ti piace. 
"Quando la ascolto, sto male: è esasperata, si cerca nella melodia spicciola, quella che piace ai ragazzini, qualcosa da proporre. Tra le poche eccezioni c'è Benny Benassi: i suoi brani sono diversi, hanno un'anima. Lo stesso discorso non vale per Guetta".
Eppure i vostri percorsi si sono spesso incrociati. 
"Il suo successo mondiale è partito dai miei remix di Love Don't Let Me Go e Baby When The Light. Li ho remixati seguendo i miei gusti, lui li ha pubblicati così. Oggi non credo farebbe la stessa cosa, visto che il suo ultimo singolo, Hey Mama, è reggeaton. Ha perso la passione per la house, non fa nemmeno più EDM, ma musica commerciale, che piace alle donne. E' un po' schiavo di se stesso. E del mercato. Da popstar qual è, dovrebbe fare dei concerti veri con dei musicisti e non dei set finti con la chiavetta. Intendiamoci, la stima sul piano personale resta, ma non è più il signor Guetta che nel '96, a Parigi, veniva a prendermi col panino in bocca dall'aeroporto e mi portava a lavorare nella sua discoteca".
Hai detto: "Il mercato è distorto, chi produce compra i propri dischi per decantare sui social i risultati".
"E' conclamato, ma nessuno può dirlo. Pensa a Spinnin' Records: è un'ottima etichetta ma ha comprato alcune quote di Beatport, il digital store di musica elettronica più importante al mondo. Se in una classifica di 100 canzoni, ne trovi 50 marchiate Spinnin', c'è qualcosa che non va. Non è possibile artisticamente, fisicamente, umanamente".
Il mercato porta al successo e distrugge tutto in un secondo.  
"Vedi la parabola dell'EDM. O la future house, che non è vera house ma un surrogato dell'EDM, con una velocità minore. I portali stanno cedendo allo streaming, in futuro chi vorrà ascoltare una canzone lo farà senza acquistarla. Presto saranno chiare molte cose".
Dj producer, discografico, speaker radiofonico, imprenditore, doppiatore: tra le scelte fatte ti penti di qualcosa?  
"Rifarei tutto, non rinnego il passato. Poi è ovvio che per mantenere in vita la struttura che ho creato, qualche compromesso sia stato inevitabile. Nonostante questo, posso dire di aver sempre dato la priorità alle cose che avevo nel cuore".
L'emozione più forte come dj? 
"La prima serata in America, nel '93, quando ti chiamavano perché apprezzavano il tuo lavoro senza il supporto di internet. Vedevo David Morales e Frankie Knuckles come miti inarrivabili. Li ho conosciuti, ho lavorato con loro, sono entrato a far parte di questa fantastica storia".
Di cosa hai bisogno per sentirti felice? 
"Di essere amato dalla famiglia e dagli amici. Mi deludono le persone ignoranti. I più furbi riescono a mettersi d'accordo con tutti, io non ho ancora imparato a scendere a patti con chi non mi vuole bene".
Hai già in mente la prossima sfida o dopo il Tomorrowland andrai in vacanza? 
"Macché. Andare in giro per il mondo, suonare, produrre: questa è la vacanza più bella. Ogni aspetto del lavoro è una sfida: da un disco prodotto in America alla scoperta di un artista. L'importante è non perdere la voglia di vincere in quello che si fa, avere sempre la certezza di aver preso la decisione giusta, diventare i protagonisti di se stessi. Se la missione di un guerriero è questa, io sono sicuramente su una buona strada".

 

 

 

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