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Nanni Moretti, disastro totale: il comunista svuota i cinema

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Daniele Priori
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Nostalgia Nanni. Ma solo e soltanto quella, assieme a un po’ di noia e smarrimento. Pure tra i nostalgici. Il sol dell’avvenire al primo giorno d’uscita conquista un faticoso podio. Un terzo posto con un incasso inferiore ai 100mila euro (98mila 307 per la precisione) che vede, però, il lungometraggio morettiano piazzarsi sotto un’altra new entry, al secondo posto, il film horror La casa- Il risveglio del male e soprattutto ancora più sotto l’inarrestabile fenomeno che è il film-videogame Super Mario Bros. Quel che c’è di più grave, però, è che, al netto delle recensioni giornalistiche fin troppo entusiastiche, Il sol dell’avvenire non convince, anzi lascia l’amaro in bocca persino a una parte importante di quell’intellighenzia rossa in cerca di vecchie emozioni. Lasciando il sospetto (questo però davvero tutto da verificare) che magari i sinistri 2.0 un po’ neogruppettari, un po’ nerd, il risciacquo nel fiume della cultura morettiana preferiscano farselo scaricando il film da qualche sito pirata. Ma speriamo di no.

COMUNQUE AUTENTICO
Fuor di battuta, quello che va riconosciuto al regista di Monteverde vecchio è però la sua autenticità. Il film, infatti, non è ruffiano né ammiccante. Moretti, anzi, si mostra al pubblico proponendo semmai il suo profilo peggiore, quello più scostante, di cui a sorpresa è finito vittima persino quel gigione buonista di Fabio Fazio che, ospitando il regista in studio, voleva fare la solita intervista-peana al limite dell’adorazione. Mentre Nanni ha sottolineato subito che anche il protagonista del film, questa volta, si pone più in ascolto. E il tono pare nostalgico e dimesso. «Purché non si parli di film testamento» chiede al conduttore accennando un sorriso. Resta il fatto che il mix tra intimismo, morettismo spinto e nostalgismo mirato a un’operazione di recupero di quella sinistra acculturata e ormai datata, anche anagraficamente, dà proprio l’idea di poter tenere poco botta al botteghino, soprattutto di non poter reggere il peso affidatogli dalla solita supponenza morettiana di sempre, che nel film diventa l’autore di un film nato con l’obiettivo, tra i tanti, di sfottere le piattaforme, Netflix in particolare, e destinato al cinema vero, quello delle sale. Che però si devono riempire. Impresa impervia. E non basta un terzo posto calante già dal primo giorno.
Tutto ciò nonostante la grandissima distribuzione, arrivata persino nelle sale di provincia dove i film impegnati di solito non giungono mai, e l’ovazione di una critica sostanzialmente acritica.

 


L’ECCEZIONE
Ad eccezione del geniale “compagno” Marco Giusti che dalla tribuna impertinente di Dagospia il film di Moretti lo ha stroncato, proprio come facevano i vecchi critici che almeno scrivevano meglio: «Il sol dell’avvenire di Nanni Moretti non è un capolavoro. E mi dispiace. Non fa né piangere né ridere. Mentre fanno ridere e piangere quasi tutte le critiche esaltanti che ho letto», annota Giusti che poi riprende: «Dopo quindici minuti ha cominciato a ronzarmi la malsana idea che stavo vedendo solo una versione più acculturata e (purtroppo) post-comunista del cinema di Pupi Avati. Con un protagonista che, facendo un film ogni cinque anni, invecchia molto di più degli altri attori della stessa età. E questo, ahimé, sullo schermo si vede. E l’unica idea di messa in scena è quella di interrompere ogni cinque minuti l’azione e inserirei una canzone da cantare in macchina o in una scena importante. Lo hai fatto sempre, no? Perché vuoi rifarlo ancora e ancora e ancora?». Ma ovviamente perché si tratta proprio di un (voluto) autotributo. Con tutti i crismi morettiani del caso. Compreso, ovviamente, il prossimo immancabile approdo a Cannes, dove il film si intitolerà Vers un avenir radieux. Benaugurante. E Nanni magari, per sembrare moderno, arriverà col monopattino, sai mai.

 

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