Wilma De Angelis ha 95 anni e il sorriso dolce, lo sguardo vispo e la voce squillante («Anche se ormai non canto più veramente, canticchio e basta»). Si racconta con entusiasmo e un pizzico di nostalgia («Sono caduta dalle scale un anno fa e ora ho qualche acciacco»): dall’infanzia alla guerra, dagli inizi («I primi tempi cantavo incoraggiata da mamma, ma di nascosto da papà»), a Sanremo («Ne ho fatti cinque») fino ai successi e agli amori («Ho detto no a Mastroianni e ho avuto una storia complicata con Rivera»). Ma anche una lunga carriera in tv conducendo per 18 anni, su Telemontecarlo, la prima trasmissione di cucina della storia.
Wilma De Angelis, dal pianerottolo si sentiva cantare. Mica era lei?
«Sì, ma stavo solo canticchiando: la voce vera ormai se ne è andata da quando, un anno fa, sono caduta dalle scale».
Si è fatta male?
«Sono ancora acciaccata e un po’ affaticata, faccio fatica a camminare».
Cosa stava canticchiando?
«Musica sentita in tv, mi diverte rifare, tra me e me, i brani famosi che ascolto».
Le piace qualche artista in particolare?
«Un po’ tutti, quelli vecchi ma anche quelli nuovi».
Quindi conosce anche gli ultimi cantanti usciti dallo scorso Sanremo?
«No, Sanremo non l’ho visto e non lo guardo più».
Perché?
«Soffrirei troppo ripensando ai miei tempi, l’emozione, l’attesa, l’esibizione».
Poi approfondiamo e parliamo anche della cucina, la sua seconda passione. A proposito, sta ancora ai fornelli?
«No, ho smesso: ora ci sono due ragazze bravissime che mi aiutano in casa e preparano anche da mangiare».
Il suo piatto preferito?
«La stupirò: a me piacciono molto le cose semplici, non ricercate. Come le verdure cotte».
Come passa la giornata?
«Faccio ginnastica e guardo la televisione, soprattutto tg per restare informata. Sentire tutte queste notizie di conflitti, però, è angosciante. E inconcepibile. Io la guerra me la ricordo».
Appunto, facciamo un salto indietro nel tempo. Alla piccola Wilma.
«Nasco l’8 aprile 1930 qui a Milano. Mamma Iolanda fa la casalinga, papà Francesco si occupa di motociclette».
Figlia unica?
«No, ho un fratello di 3 anni più giovane: Aldo».
È una bambina timida?
«Sì, ma anche vivace. E subito appassionata di musica: imparo a memoriale canzoni sentite alla radio e poi le canto alle amiche di mia madre. Nel quartiere sono conosciuta come la “cantantina del 106”, il numero civico di casa nostra».
Ha sempre vissuto qui in Corso Lodi?
«Mai cambiato zona, anche perché mamma in quel periodo ha la passione per le case nuove e, quando non le piace più la tinteggiatura dell’appartamento, trasloca in un altro posto. Sempre in affitto e nella stessa via».
Primo impatto vero con la musica?
«Un giorno io e mia madre incontriamo il maestro Cosimo Di Ceglie, che mi invita alla casa editrice musicale “Metron” per conoscere Natalino Otto. Ad un certo punto il direttore d’orchestra Eros Sciorilli va al pianoforte e suona “Sola me ne vo per la città”, accompagnandomi. Ha presente? Fa così: “Sola me ne vo per la cittàààà, passo tra la folla che non saaa”».
Wilma, altro che canticchiare, lei canta ancora bene.
«Faccio quello che riesco. Comunque la mia interpretazione piace e mi mandano a studiare canto, ma di nascosto da mio padre».
Come mai?
«È gelosissimo e non mi permetterebbe mai di esibirmi in pubblico. Mamma, invece, che ha frequentato l’accademia di arte drammatica ed è un’attrice mancata, mi spinge a provare».
Lui quando scopre questa sua passione?
«A 13 anni mi propongono di partecipare a un concorso nazionale al Dopolavoro Provinciale al Teatro Puccini, impossibile non dirglielo».
Come la prende?
«Appena saputo ci fissa con severità: “Mi avete incastrato. Ma ti lascio cantare solo al concorso e poi mai più”».
Ed è un successo.
«Vado direttamente in finale, vinco con un brano strano intitolato “Casetta tra gli abeti” e piango dall’emozione. Tra i comici, invece, trionfa Ugo Tognazzi: è un bel giovanotto, simpatico, divertente».
Poi cosa fa?
«Vengo scritturata in una compagnia di bambini e faccio tournée nei teatri del Nord Italia mettendo in scena fiabe celebri come “Cenerentola” o “Biancaneve e i sette nani”. Io interpreto la fata, mio fratello Aldo uno dei nani. Anche se a lui non piace molto cantare».
Siamo a metà Anni ’40. Prima parlavamo della guerra...
«La ricordo, purtroppo. Questa parte di Milano, in quel periodo, è fortunatamente tranquilla, ma ad un certo ci punto ci trasferiamo per quasi un anno sul lago di Como, a Lezzeno, per stare più sicuri».
Finito il conflitto torna subito a esibirsi?
«No, perché non riesco più a cantare: un problema di salute ai polmoni mi costringe a fermarmi tre anni e per curarmi è necessaria la streptomicina, un antibiotico costoso che proviene dall’America. Papà, persona fantastica, riesce a recuperarlo vendendo i suoi denti d’oro e mi salvo. Quando, dopo la lunga cura, mi ristabilisco completamente, il dottore mi dice: “Adesso puoi ricominciare a cantare, anzi ti farà bene perché sviluppi i polmoni”».
E da quel momento non si ferma più. Nel 1952 firma il suo primo contratto discografico con l’etichetta “Vis Radio” esibendosi in coppia con Maria Dattoli, poi da solista registra dischi, canta alla radio e nei locali. La sua vera passione, però, è il jazz.
«Lo amo, pur non conoscendo l’inglese: impazzisco per “Summertime” e “A Foggy Day”. Tanto che mi iscrivono a un concorso che si svolge a Boario Terme, in provincia di Brescia, e vinco il titolo di “Reginetta del Jazz italiano”».
Però le chiedono soprattutto musica italiana e dalla “Vis Radio”, poi, passa alla “Philips”.
«Me lo comunicano nell’estate 1957, mentre sto facendo serate a Milano Marittima. L’etichetta ha sede in Olanda e mi fanno incidere una serie di 45 giri per il mercato estero, brani tipo “A Firenze in carrozzella” e “Casetta in Canada”. Così in poco tempo io, che sono poco conosciuta in Italia, divento celebre nel nord Europa».
Wilma, come mai ride?
«Un giorno atterro all’aeroporto di Copenaghen, ma al momento di sbarcare l’hostess mi dice di aspettare che scendano tutti gli altri passeggeri perché sulla pista ci sono tanti fotografi. Mi chiedo quale celebrità stiano attendendo, ma poi capisco: sono tutti lì per me. E ci resto quasi male perché non me l’aspetto proprio».
Nel 1959 partecipa per la prima volta al Festival di Sanremo.
«I miei genitori, quando glielo comunico, sono increduli. Emozione indescrivibile. Interpreto il brano “Nessuno” insieme con Betty Curtis, e poi “Per tutta la vita” con Jula De Palma».
Cosa non dimenticherà mai di quelle serate?
«La paura prima di esibirmi, mentre ascolto gli altri cantanti».
La sua carriera, da quel momento, decolla.
«Un miracolo: improvvisamente la gente mi riconosce, tutti cantano “Nessuno”».
Già, un brano indimenticabile: “Nessuno ti giuro nessuno, nemmeno il destino ci può separare...”. Tanto che nello stesso anno, poi, va a “Canzonissima” per riproporlo in coppia con Mina, che ne fa una versione più ritmata.
«Quando alla “Philips” mi fanno ascoltare la sua interpretazione, però, resto perplessa, mi sembra che abbia rovinato il pezzo. “Ma no mi spiegano - questa è Mina e diventerà la più grande cantante in Italia”. Avevano ragione».
Come è il vostro rapporto in quel periodo?
«Lei ha solo 19 anni, io 29 e i suoi genitori me la affidano, per andare in treno a Roma a fare “Canzonissima”, chiedendomi di tenerla d’occhio. Ne nasce una bella amicizia, autentica, mi piace tanto e lei è sempre carinissima con me».
E oggi?
«Purtroppo ci siamo perse con l’andare avanti delle nostre carriere. Io so che c’è, ma non la sento più. Mi spiace, sarebbe stato bello condividere anche la vecchiaia».
Torniamo alla sua carriera. Lei, poi, partecipa ad altri quattro Festival: nel 1960, insieme con Joe Sentieri, arriva terza cantando “Quando vien la sera”, nel 1961 si esibisce in “Patatina”, nel 1962 interpreta “I colori della felicità” e “Lumicini rossi” e nel 1963 canta “Non costa niente” e “Se passerai di qui”. La più ricordata, però, è “Patatina”.
«Brano che nel 1961 non arriva nemmeno in finale, ma che poi ha un grande successo. Un pezzo strano che all’inizio non mi piace molto, lo trovo una canzoncina un po’ stupida. Invece, a distanza di anni, la canticchiano ancora tutti».
In quegli anni lei conosce tutti gli artisti più famosi e importanti. Ricordiamone qualcuno.
«Claudio Villa, bravissimo e inarrivabile. E poi Iva Zanicchi, una donna molto vera, leale».
Una volta, a un suo spettacolo, si presenta anche Maria Callas, vero?
«Inizio Anni ’60, canto per Capodanno al Teatro Manzoni di Milano e lei, che si è appena esibita alla Scala, è in platea e poi mi raggiunge sul palcoscenico per complimentarsi».
Interviste, tournée, fama, trasmissioni tv. Dopo tanto successo, però, arriva un momento di difficoltà.
«Nel 1968 c’è un cambio generazionale e noi quarantenni veniamo tagliati fuori per lasciare spazio ai giovani emergenti come Caterina Caselli, Patty Pravo, Massimo Ranieri, Gianni Morandi. È un periodo nero per me e non è facile accettarlo, anche perché penso di avere ancora tanto da dare alla musica».
Come ne esce?
«Grazie a Paolo Limiti, che nel 1979 mi propone un’avventura nuova e stimolante. Ma anche rischiosa».
Cioè un programma di cucina su Telemontecarlo: “Telemenù” che poi diventa “Sale, pepe e fantasia”.
«Una novità assoluta in quel momento: non esistono trasmissioni del genere. Io gli rispondo che non so cucinare, ma lui sostiene che proprio quello sarà il segreto, perché posso spiegare le ricette con semplicità. Mi affianca uno chef, che prima di andare in onda mi svela i trucchi di ogni piatto, e prepariamo una puntata zero nella quale io utilizzo sei/sette prodotti particolari che sponsorizzo».
Ed è la svolta.
«Io sono dubbiosa e secondo me è solo un meraviglioso programma comico, ma appena la registrazione comincia a girare per le agenzie pubblicitarie capiamo che funziona: dopo una settimana la trasmissione ha già pubblicità coperta per 3 anni. E così divento una vera pioniera, anche se all’inizio vengo un po’ presa in giro».
Invece è boom clamoroso, tanto che condurrà il programma per 18 anni invitando personaggi famosi di ogni tipo.
«Vengono, come ospiti, cantanti, attori, scrittori, conduttori: da Walter Chiari a Iva Zanicchi fino a Sandra Mondaini e Raimondo Vianello».
Un aneddoto da raccontare?
«Una volta c’è Maria Teresa Ruta, con la quale devo cucinare delle meringhe. Tutto pronto, ma ci distraiamo e le meringhe si bruciano. Così siamo costrette a sospendere la puntata per rifare tutto».
Wilma, abbiamo parlato tanto di carriera, ma poco di vita privata. Lei era bella, simpatica, famosa: qualche flirt importante?
«Nel 1959 un giorno, a Cinecittà, incontro Marcello Mastroianni. In una pausa sigaretta mi dice, dandomi del lei: “È sua la splendida voce che sento fra un turno di doppiaggio e l’altro?". Io, imbarazzata: “Sì, penso di sì”. “Allora dovrebbe fare la cantante, è bravissima...”, aggiunge lui. E io: “In realtà la faccio già: l’inverno scorso ho debuttato al Festival di Sanremo”. Mastroianni allora si scusa e si presenta: “Ah, e come si chiama?”. Io: “Wilma”. Pausa. “Senta Wilma, io devo farmi perdonare. Le farebbe piacere venire a cena con me?”».
Urca, non male. Accetta?
«Certo, sono lusingata e felice. Viene a prendermi in auto e mi porta nella villa di una sua amica, ci mettiamo in giardino, mi racconta della sua vita, del suo girare, del suo matrimonio a distanza che lo fa soffrire. Poi...».
Che succede?
«Marcello mi sfiora la schiena e si ferma sulla cerniera dell’abito. Ci gioca un po’ e fa per aprirla, malo fermo subito».
Perché?
«Ho paura di quello che potrebbe succedere: sono illibata e non ho mai dormito con un uomo, vorrei che la prima volta fosse per amore e non per un’avventura. Lui capisce, tira su la cerniera e mi sorride: “Nessun problema, andiamo a cenare”. Un vero signore».
Quindi nemmeno un bacio?
«Niente. Poi, nel tempo, ci siamo rivisti altre volte ed è sempre stato gentilissimo e affabile. Con Rivera invece...».
Gianni Rivera il calciatore?
«Sì, abbiamo avuto una storia d’amore anche se un po’ complicata».
Come mai?
«Tredici annidi differenza tra noi, io cantante famosa, lui giovane giocatore del Milan: ogni volta che usciamo a cena ci accompagnano i suoi genitori, mia madre e mio fratello. Difficilissimo stare soli e quelle poche volte dobbiamo cercare di non farci vedere. Alla fine, dopo un po’ di mesi, gli scrivo una lettera, il giorno del suo compleanno, spiegandogli che non possiamo più andare avanti».
Lei ha confessato di essere stata anche l’amante del pianista di Little Tony per 10 anni.
«Negli Anni ’60 lo conosco, mi innamoro e poi scopro che è sposato. Ma la relazione continua».
A proposito di matrimonio, lei invece non è mai arrivata all’altare.
«L’amore vero l’ho incontrato tardi, si chiamava Gianni. Ci siamo conosciuti il 18 agosto del 1994, io avevo 64 anni e lui 54. Un rapporto unico, di comprensione totale in cui ci aiutavamo e supportavamo in tutto pur non vivendo insieme. È morto nel 2022 e mi manca tantissimo».
Wilma, ultime domande veloci. 1) Rapporto con la religione?
«Molto stretto».
2) Teme la morte?
«No, anzi. Mi piace l’idea che ci sia una fine. Ogni tanto sogno il mio amico Paolo Limiti: quando ho qualche problema lo vedo nell’Aldilà che mi dice di non mollare. Mi ha sempre spronato a non arrendermi e lo fa anche ora che non c’è più».
3) Lei non ha mai avuto figli. Rimpiange questa scelta?
«No, mi ero resa conto che la maternità mi avrebbe portato fuori da quello che sentivo come il mio percorso di vita principale nella musica e tra le canzoni».
4) Cosa pensa dei giovani?
«Li ammiro con piacere, mi spiace solo di non poter stare molto con loro».
5) Ultima domanda: a 95 Wilma De Angelis anni ha ancora un sogno?
«No, sono molto felice della mia vita perché ho fatto tante cose belle. Mi accontento così».