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F1, il debutto di Susie Wolff. La pioniera Giovanna Amati: "Facile, è lì grazie al marito"

Giulio Bucchi
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Giovanna Amati, oggi Susie Wolff - collaudatrice della Williams - scende in pista a Silverstone nella prima sessione di prove libere del Gp di F1 e sfida i vari Rosberg, Hamilton, Alonso. Evento storico: l'ultima donna al volante tra gli uomini era stata lei nel '92 alla guida della Brabham. «Con una differenza. Io ero titolare». Vero e partecipò ai Gp di Sudafrica, Messico e Brasile, ma senza qualificarsi. Perché sono dovuti passare 22 anni per rivedere un nome femminile in F1? «Le rispondo con una domanda: forse perché stiamo parlando della moglie di Toto Wolff?». Ops. Dice che Susie è stata aiutata dall'aver sposato l'amministratore delegato della Mercedes e azionista della Williams? «Più che aiutata, il matrimonio le ha spalancato le porte. Ma è anche vero che non ha molta concorrenza: altre ragazze all'altezza non ne vedo, da nessuna parte del mondo». Perché? «Perché le nuove generazioni vogliono tutto e subito. Non fanno gavetta. È diverso rispetto ai miei tempi: Senna era partito dalla Formula 3, vinceva tutto ed era un fuoriclasse; Schumacher aveva fatto poca gavetta, ma aveva dimostrato la sua forza nel Mondiale Sport. Ora i ragazzi dicono: voglio fare il pilota. E pretendono di diventarlo immediatamente ad alti livelli. Anche io volevo nascere Sofia Loren...». Susie Wolff dice che la F1 di adesso è più adatta alle donne. «È molto più facile. Ai box i tecnici raccolgono tutte le informazioni, fanno tutto. Prima eri tu pilota, una volta fermato, a dover andare da loro e spiegare come assettare la macchina, avevi più responsabilità. Lauda non era il più veloce, ma vinceva perché era il più bravo a mettere a punto la monoposto». Susie spiega anche che ora in F1 si fa meno fatica. «Su questo ha ragione, anche se io corro in GT e non ho provato una monoposto di ultima generazione. Il cambio al volante però aiuta, fa fare meno sforzo fisico: prima dovevi gestire 650 kg con un solo braccio. E poi adesso è tutto servoassistito. Le nuove generazioni però si devono fidare totalmente della propria auto senza nemmeno conoscerla troppo». Senza conoscerla? «Usano i simulatori e si allenano come se fossero su un videogioco. Assurdo. Io al simulatore non completo nemmeno un giro, dopo tre curve vomito». A proposito di giovani, facciamo qualche nome. Negli Usa si parla molto di Danica Patrick. «È molto supportata, un po' come Sarah Fisher». In Italia c'è Michela Cerruti. «Dovrei vederla in pista per esprimere un giudizio. Noto solo che rimbalza da un auto all'altra. Una volta ho letto che, pur facendo il 16° tempo, ha ottenuto la velocità di punta più alta. Strano...». Torniamo alla F1. La Wolff può aprire definitivamente la strada alle donne? «Non sarà certo lei a farlo. L'unica possibilità sarebbe introdurre, per ogni scuderia, la terza auto femminile. Con classifiche vere. Anche perché la vuole proprio sapere la verità?». Dica. «La F1 non ha bisogno della Wolff, forse di lei ha bisogno la Martini per farsi pubblicità. La F1 non ha bisogno della donne in generale. Non gliene frega nulla». Questione di pregiudizi? «Ma no. Io ho avuto mille difficoltà per farmi accettare, ho trovato posto solo in squadre minori. Ma del pregiudizio me ne è importato nulla. Bisogna solo saper soffrire e aspettare. Mica proporsi». A chi si riferisce? «Simona De Silvestro, dopo una mediocre stagione in Indi, ha detto che vuole andare in F1. Ma figlia mia, ci vai se ti chiamano, non se lo chiedi tu. La F1 è dura, non bisogna fare errori, bisogna essere responsabili. Per se stessi e per gli altri. E se penso a Maria De Villota…». Cosa pensa? «Che forse si è ammazzata perché spingeva troppo proprio per cercare di entrare in F1». di Alessandro Dell'Orto

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