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Valentino Rossi, il dibattito dopo il rinnovo con la Yamaha: "Perché è la scelta sbagliata"

Andrea Tempestini
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Firmato, vidimato, nero su bianco. Va che bel contratto. Per due anni almeno, il Problema è risolto. Anzi, facciamo tre, visto che c'è pure questo che inizia, di anno, di Mondiale. Di piste e di box che si succederanno uno dietro l'altro, i soliti, ma chi se ne frega se sono i posti più amati, quelli dove l'incantesimo è intoccabile, e il Problema non si pone. Perché il Problema con la p maiuscola di Valentino Rossi è il secondo tempo di una vita che non riesce proprio a fare breccia nel suo palinsesto mentale, una vita che pur continuando a rimanere speciale, a rimanere a gas aperto, lo vedrebbe costretto a confrontarsi con il mondo reale, da sempre rimasto assolutamente fuori da un paddock o dalla magica galassia di ValeLandia a Tavullia. Leggi anche: Max Biaggi e la profezia su Valentino Rossi TOTTI E BUFFON Tanti campionissimi si sono trovati o si trovano prima o poi di fronte l'Himalaya del ritiro dettato innanzitutto dagli spietati motivi dell'anagrafe, spesso accompagnati dalle crepe di un declino fisico e tecnico: vedere alla voce Totti, o attualmente Buffon, giusto per fare esempi noti a tutti. E si ribellano, insistono, tirano la corda rischiando di spezzare - o almeno scheggiare - il loro stesso mito. Per Valentino è iniziato - e non oggi - il countdown del tempo, ma l'atleta, il pilota, non ha ancora scatenato i dibattiti sull'opportunità di un addio o le contumelie social con hashtag #ritirati. L'ultimo giro di giostra iridata l'ha visto soccombere al suo (odioso) erede Marquez, ma anche al quasi conterraneo Dovizioso, non un ragazzetto, bravissimo ma non fenomeno: però è sempre stato lì nella mischia, il 46, in corsa e in prova di figuracce non se ne sono mai viste. E poi in ballo c'è sempre il decimo, il titolo della cifra tonda, e poi c'è sempre quel rosico, meglio, dell'immenso giramento testicolare di quel Mondiale 2015 in cui il tortino confezionato dalle faccine Lorenzo e Marquez avvelenò il pozzo della gloria. Ci sta, insomma, un altro tentativo: ma tre? Nel 2020, Vale avrà già sfondato i 41 anni, e correndo in quel campionato avrà iscritto il suo nome in qualcosa come quattro decenni di motociclismo, attorniato da ben più di un rivale che non era nemmeno nei pensieri dei genitori nel 1996, l'anno del debutto in 125, della prima vittoria a Brno in cui conoscemmo questo 17enne con la faccia da bambino, capelli degni (o indegni) e i tempi e la parlata sciolta, simpatica, guascona con punte di sarcasmo e arguzia mica da poco. Con un panorama di incredibili successi come sfondo, quel ragazzino è diventato uomo fatto per tutti noi che lo idolatriamo o quantomeno sosteniamo: e il paradosso è che l'unico che non lo voglia decretare in toto sia proprio lui. ETERNO PETER PAN Giorgio Terruzzi, scrittore e giornalista che le teste dei piloti le conosce bene - e quella del Vale in particolare - spiegò in largo anticipo in un libro-lettera a Rossi quella non-scelta che il Nostro non vorrebbe mai fare: mi diverto, guadagno un fracco, sono ancora lì a darmele coi ragazzi, e ancora amici, donne a mazzi, ma perché devo dire basta? Semplice, caro Vale: perché Peter Pan non stava su una moto, e perché hai tutto per essere pezzo unico anche in questo “dark side of the moon” che semplicemente è la vita, per diventare, anzi, rimanere uno dei nostri, quelli che - citando De Gregori - hanno appeso le scarpe a qualche tipo di chiodo e ora ridono dentro a un bar. Non fermare il tempo. Non lo batti, non è Gibernau. di Andrea Saronni

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