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Serie A, il Brescia la squadra più italiana. L'Atalanta ha solo 4 connazionali

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Davide Locano
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In serie A, più della metà dei giocatori sono stranieri. Per la precisione, sono il 57,9% del totale. In numeri, 320 calciatori: in media sedici per ogni squadra. Ne sono arrivati meno del solito (65 nella sessione estiva, 6 meno dell' anno scorso e 10 meno di due anni fa), eppure sono di più: ai nastri di partenza, una stagione fa, erano infatti 291. Considerando che la lunghezza media delle rose della A è di 27 elementi, sono quindi 11 gli italiani a disposizione di ogni tecnico del massimo campionato. Pochi, purtroppo per il ct Mancini, anche se l' importante è che questi pochi siano buoni. Si può sorridere perché il rapporto quantità-qualità sembra inversamente proporzionale. Sta diminuendo il numero di azzurri nel campionato, ma sta crescendo la loro bravura. E quest' ultima aumenta soprattutto quando giocano nelle grandi squadre, ai massimi livelli. Era qui il problema, e qui parzialmente rimane: nelle big sono ancora troppo pochi. Basta osservare i numeri: le squadre con più italiani sono le tre neopromosse, in ordine Brescia (20), Lecce (19) e Verona (17). La prima grande ricca di giocatori nostrani è l' Inter, a quota 13: un' inversione di tendenza rispetto al passato. L' Atalanta è l' altra faccia della medaglia: è un modello per tutti, ma ha appena 4 italiani in rosa. Il fatto che una larga parte del bacino italiano sia composta dalle tre neopromosse non è una buona notizia per la nazionale nell' immediato, ma può esserlo allargando l' orizzonte. Perché significa che in B gli italiani sono sempre più competitivi e accompagnano le squadre vincenti in A. Il Brescia è un esempio: ha mantenuto quasi interamente la rosa con cui ha vinto la cadetteria, rimpolpandola con italiani di livello superiore come Balotelli e Matri, ma anche Magnani. Così gli altri azzurrabili, finora nascosti al grande pubblico come Donnarumma, Sabelli o Bisoli, possono crescere al fianco dei connazionali più esperti e, chissà, intraprendere la stessa parabola di Di Lorenzo, che dall' Empoli è passato al Napoli e ora si affaccia alla finestra della Nazionale. Il Brescia, così come Lecce e Verona, punta sul blocco italiano perché è il modo migliore per ottimizzare i tempi e creare un gruppo che riesce a interagire facilmente e che conosce il contesto. È l' eco di un passato in cui l' italianità era considerata necessaria per consolidarsi: lo insegnò, su tutti, il "Piacenza dei miracoli", che tra il 1993 e il 2001, per scelta del presidente Garilli, era formato da soli giocatori nostrani, e riuscì a disputare 8 stagioni in A, lasciando il segno in piena "era Bosman". CAMBIO DI LINEA Con altri obiettivi, l' Inter sta seguendo la stessa linea e sembra aver invertito il ruolo con la Juve, che invece è sempre più internazionale, con 8 italiani in rosa. Quanti il Milan, meno della Roma (10), più del Napoli, della Lazio (7 e 6 rispettivamente) e dell' Atalanta. Quest' ultima, con soli 4 azzurrabili, rappresenta l' antitesi, per coincidenza, dell' acerrima rivale Brescia. È un paradosso considerando la bontà del settore giovanile bergamasco, in cui un tempo sbocciavano molti azzurri. In realtà, l' esterofilia è la conseguenza della crescita verticale del club, che si è ritrovato grande e quindi obbligato ad alzare il livello, senza però esagerare con le spese. E gli stranieri, se sei bravo a scovarli, costano meno degli italiani. La Dea in questo è super, anche perché trova stranieri che s' immedesimano nella realtà bergamasca, tanto che per applicazione e disponibilità sembrano nati lì, oltre che idonei al gioco di Gasperini, appena insignito della cittadinanza onoraria di Bergamo. di Claudio Savelli

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