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Marcell Jacobs, il trauma del campione: "Quando mi chiedevano chi fosse papà... ecco perché lo odiavo"

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"Pure l’accento è migliorato strada facendo", scherza Marcell Jacobs dopo la telefonata a papà Lamont negli Usa. Un rapporto difficile, assente per anni quello col padre, recuperato soltanto un anno fa.  "Ho incontrato una brava mental coach, Nicoletta Romanazzi, che è entrata nel mio team insieme al mio storico allenatore Paolo Camossi - racconta - con lei ho accettato di lavorare in profondità sulle mie paure e sui miei fantasmi. Non è stato facile: c’è una parte intima che non vogliamo mostrare nemmeno a noi stessi. Però imparo in fretta. Il lavoro psicologico è iniziato a settembre dell’anno scorso e in sei mesi ho ottenuto un oro europeo indoor, il 9”95 di Savona, i tre record italiani ai Giochi e l’oro olimpico in 9”80", confessa il campione olimpico dei 100 metri piani.

 

 

"Non doveva andare così nemmeno nei miei sogni più sfrenati. Sapevo di essere in condizione, sono rimasto concentrato su me stesso. Dei rivali mi sono accorto solo al traguardo". Una trasformazione dell’atleta che è venuta dopo quella dell’uomo. Un lavoro con la psicologa che, "ha sbloccato ricordi rimossi e liberato rabbia repressa, adesso Marcell ha un rapporto con il padre che lo lasciò a El Paso a pochi mesi per andare in Corea con l’Us Army", ricorda il Corriere della Sera.

 

 

 

"A 18 mesi ero in Italia, i miei figli sono nati qui. Mi sento italiano in ogni cellula del mio corpo. Mio padre, da bambino, non lo ricordo. Dal momento in cui con mamma siamo rientrati dal Texas, è cominciata la nostra personalissima sfida a due. A scuola ero in difficoltà. Disegna la tua famiglia, mi diceva la maestra: io avevo solo mia madre da disegnare e ci soffrivo. Chi è tuo papà, mi chiedevano gli amici: non esiste, rispondevo, so a malapena che porto il suo nome. Per anni ho alzato un muro. E quando mio padre provava a contattarmi, me ne fregavo. Lo odiavo per essere scomparso, ho ribaltato la prospettiva: mi ha dato la vita, muscoli pazzeschi, la velocità. L’ho giudicato senza sapere nulla di lui. Prima se una gara non andava bene davo la colpa agli altri, alla sfortuna, al meteo. Adesso ho capito che i risultati dipendono solo dal lavoro e dall’impegno", conclude Jacobs.

 

 

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