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Napoli, dominio in Serie A? L'errore suicida delle altre big italiane

Claudio Savelli
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Forse l’errore è nostro. Pretendiamo che ci sia più di una squadra perfetta quando è già tanto che ce ne sia una. Nel calcio contemporaneo le grandi sono meno grandi, meno vicine all’idea di corazzate. Non è così da un decennio almeno, da quando l’Italia è diventata secondaria nel calcio europeo. In realtà stiamo imparando che anche chi ha tanti soldi non riesce a costruire squadre perfette, se è vero che le inglesi quest’anno stanno arrancando in Champions League e che grandi club come Chelsea e Liverpool sono in ritardo in Premier rispetto a società più piccole. Nessuno è più perfetto perché è impossibile esserlo.

Il calcio oggi offre a tutti gli strumenti per competere, anche a chi ha meno disponibilità economica. La conoscenza, che vale più dei soldi, è diffusa. Per accedere ai dati basta un abbonamento ad un costo che può permettersi anche un privato. I calciatori bravi sono sempre di più mentre sono sempre meno i fenomeni, forse perché il livello medio si è alzato. Sono meno gli uomini della differenza e chili affronta ha la possibilità di contenerli di squadra. In sostanza il calcio sta cambiando sotto i nostri occhi, solo che è difficile accorgersi della storia quando la si vive. È più facile pesarla una volta che diventa passata. È normale allora che basti relativamente poco per indovinare una stagione perfetta.

C’è così tanta imperfezione che una squadra ben costruita come il Napoli si ritrova a non avere rivali. Il divario di 18 punti dopo 24 giornate è da record come del resto lo è ogni distacco della capolista dalla prima inseguitrice da un mese a questa parte. Vuol dire che le altre presunte grandi stanno scrivendo primati negativi: le milanesi infatti hanno 1,9 punti di media a gara e una proiezione di 74. Ciò spesso non bastava per il quarto posto ora è sufficiente per il secondo. È sbagliato stupirsi dell’incapacità della Roma di agganciare definitivamente il treno della Champions. La rosa ha troppi difetti per essere stabile a quei livelli. Mourinho, che ne ha viste tante, lo sottolinea da sempre e forse non è una scusa né una elaborata strategia di comunicazione ma la pura verità.

Anche le difficoltà della Juventus contro il Torino suggeriscono che dovremmo e dovremo accettare campionati dove le grandi sono meno grandi e in cui le medio-piccole raggiungono più facilmente un livello discreto. È un bene perché avere minore differenza tra le squadre obbliga le migliori a giocare con più intensità, a non gestirsi mai, quindi a farsi trovare più competitive in Europa. Non è stato così per troppo tempo in serie A. Siamo finalmente al giro di boa tra passato e futuro. Un futuro in cui il calcio assomiglierà sempre più ad una lega chiusa americana fatta di cicli brevi, di successi distribuiti più equamente. Non tra tutte ma tra qualcuna in più. Cambiano le regole del gioco: investire per vincere subito non è più fattibile, vuol dire buttare via i soldi. Ha invece senso investire per restare ai vertici a lungo. Sarà la cosa più importante e più difficile. 

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