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Serie Avvelenata, stagione inquinata da troppe polemiche: pessima figura all'estero

Claudio Savelli
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L’unico lato positivo di questa annata di veleni, insulti, polemiche, complotti, urla e colpi bassi, in cui il calcio italiano ha dato il peggio di sé, è che sta per finire.

Ancora due mesi. Poi andrà meglio perché più in basso di così non si può andare, vero? Il caso Acerbi-Jesus è solo l’ultimo di una lunga serie di veleni che hanno inquinato questa serie A. Vicenda disgustosa che l’istinto vorrebbe cancellare e la coscienza invita a conservare per impararne qualcosa. Di certo abbiamo capito che il calcio italiano non sa trattare il razzismo. Al massimo ci fa inutili pubblicità ma guarda un po’che coincidenza: il fattaccio Acerbi-Jesus avviene durante la campagna che chiede testualmente di «tenere il razzismo fuori» -si presume -dal calcio (come se fuori potesse invece esserci). Il Napoli decide di rimuovere lo slogan dalla propria maglia in segno di protesta e, insomma, di non riconoscersi nel movimento.

E il calcio italiano sarebbe unito e coeso? Sembra passata un’eternità, invece è ancora la stagione in cui Maignan quasi riesce a far sospendere una partita, salvo poi passare per quello che ha esagerato, se è vero che il club friulano ha sì beccato i cinque razzisti ma ha inviato e vinto il ricorso contro lo stadio chiuso e la città ha negato la cittadinanza onoraria al francese, gesto dall’alto potere simbolico. All’estero vorrebbero pure parlare bene di noi, ma non possono. Ci riconoscono una proposta di gioco all’altezza dell’Europa, raccontano di come la serie A non sia più difesa-e-contropiede ma un laboratorio di idee all’avanguardia dove i Thiago Motta, Palladino, Gilardino, De Rossi, De Zerbi (ah, motivo di polemica, ovviamente) riescono a emergere, ma poi sono costretti ad annotare il resto.

Tipo un presunto arbitro ancora in attività che va in televisione camuffato a dire che è tutto strano, che ci sono stati troppi errori per essere veri e che le valutazioni per cui un direttore di gara continua a lavorare (quindi a guadagnare) sono politiche e non di merito.

 

SOSPETTI E “COMPLOTTI”
È tutto un dire e non dire, un sospetto e un complotto senza prove né volti. Contribuisce il fatto che sia la stagione pre-elezioni federali in cui il potere ribolle. Non poteva mancare un’inchiesta sul presidente della federazione, Gravina, che avrebbe forzato la cessione dei diritti televisivi dell’allora sua serie C e finisce sotto indagine ma in risposta chiede chi è il mandante, lasciando intendere che è tutta una strategia per screditarlo in vista delle elezioni 2025. Anche i veleni degli arbitri rientrerebbero in questo disegno, perché il voto AIA conta e c’è chi vorrebbe metterci un oppositore di Gravina. Intanto è gestito tutto un po’così, diciamo “alla Di Bello” che viene sospeso in Italia dopo un Lazio-Milan disastroso e un «Ho visto bene io» di troppo (contatto Iling-Ndoye e rifiuto del Var in Juventus-Bologna) ma va in Champions a dirigere il Real Madrid.

Sì, mandiamo in Europa un arbitro probabilmente radiato dalla serie A mentre De Laurentiis in Europa spinge un cameraman e apostrofa un collega che, in quanto presunto tifoso di un’altra squadra, non può intervistare Politano. Tutto ciò dopo aver insultato le televisioni che pagano per mandare in onda il calcio in cui un presidente le insulta. Cose dell’altro mondo che vede tutto il mondo. Anche altri dirigenti hanno fatto uscite a vuoto vedi, per dirne una, Luca Percassi che nega un tocco di mano mentre scorrono immagini per una volta cristalline. Si è arrivati a dire che i video potrebbero essere truccati.

Da chi? Chiedetelo ai complottisti della “Marotta League”, personaggi che popolano i social secondo cui la lega italiana sarebbe orchestrata dal massimo dirigente nerazzurro. Il quale, ignorandoli, spiega a tutti perché è il miglior dirigente del calcio italiano. Le palle che rotolano sembrano essere meno interessanti delle palle che girano. Forza e coraggio, ancora due mesi.

 

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