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Sassuolo verso la retrocessione: la bottega più cara della Serie A sta fallendo

Claudio Savelli
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Il problema del Sassuolo non è l’ormai consolidata abitudine alla serie A (undicesima consecutiva dopo quasi un secolo senza alcuna partecipazione al massimo campionato) ma la mancanza di motivazioni dei giocatori per restarci.

Avendo fondato il suo successo sulle cessioni, i calciatori sanno di poter bussare alla porta in estate e chiedere di essere venduti. A maggior ragione in caso di retrocessione: i giocatori sono consapevoli del fatto che dovranno essere ceduti perché il decimo monte ingaggi della serie A non è sostenibile per gli incassi della serie B.

 

 

 

Di più: in caso di retrocessione, il Sassuolo non potrà certo vendere i suoi gioielli al suo prezzo, come fa da anni, ma dovrà concedere sconti. Quindi, peri calciatori, aumenterebbero le probabilità di essere venduti in serie A. Non si mette in dubbio l’impegno dei neroverdi, ma può venire a galla questo pensiero un po’ subdolo. Altrimenti non trovano giustificazione prestazioni come quella contro il Lecce, da zero in pagella: uno scontro diretto interpretato come un’amichevole estiva, giustamente perso 3-0, la dice lunga sull’attitudine del Sassuolo in ottica salvezza.

Nemmeno con Ballardini questa squadra si è resa conto del campionato che avrebbe dovuto fare, non più di sereno piazzamento ma di lotta contro chi, invece, ne era consapevole fin da subito. Altro fattore è il pubblico: il Mapei, ieri, pareva il Via del Mare. E Lecce non è poi così vicina. Quando tutto va bene, l’assenza di un tifo numeroso può essere un valore aggiunto perché offre tranquillità a calciatori solitamente giovani. Ma quando tutto va male, manca la spinta o, banalmente, la sana paura di fare un torto a qualcuno. Così, nelle 14 partite del girone di ritorno, il Sassuolo ha conquistato solo 7 punti. Peggio ha fatto solo la Salernitana, meglio il Frosinone (9), unica squadra battuta dai neroverdi da metà gennaio a oggi.

 

 

 

Una miseria ma nessuno, da fuori, protesta. Tocca alla dirigenza alzare i toni, ma anche quest’ultima non ne è abituata. Chissà se il dg Carnevali sta rimpiangendo le lunghe estati passate a commentare sorridente le trattative dei suoi calciatori. Negli ultimi anni era ovunque, come un mercante in fiera. Va bene fondare il proprio business sul player trading, per carità, ma con misura. Negli ultimi anni, il Sassuolo ha sempre venduto bene, ad un prezzo anche oltre il reale valore del calciatore (Frattesi, Locatelli, Raspadori, Traorè, Scamacca, Boga, più gli altri: si viaggia oltre i 200 milioni nelle ultime due stagioni), il problema è che ha venduto troppo rispetto ai primi anni, quando ne partiva solo uno alla volta. E, soprattutto, ha reinvestito male. Ha strapagato alcuni calciatori che si sono rivelati meteore, come Agustin Alvarez (12 milioni), poi prestato alla Sampdoria, e ha inserito in una rosa senza più leader tanti, troppi giovani ancora da testare in serie A, peraltro pagati parecchio vedi Mulattieri (6 milioni all’Inter) e Lipani (8 milioni al Genoa). Oltre a Pinamonti (20 milioni), che quantomeno in teoria garantisce gol “da salvezza”, non sono stati fatti altri grossi investimenti su nomi sicuri, dal rendimento solido, ma si è preferito spalmare i soldi su tanti calciatori da scoprire. La quantità ha battuto la qualità. Così il lieto meccanismo si è inceppato. E ripristinarlo dalla serie B è dura... 

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