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Quei nuovi sport vincenti per i valori

Corrado Ocone
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Sappiamo tutti che lo sport è un fenomeno importante nelle nostre società. Non sempre è stato così, almeno in età moderna. La sua istituzionalizzazione, che ha poi avviato il processo di diffusione di massa sia dello sport praticato sia di quello professionistico, può essere datata a fine Ottocento, quando nascono le Olimpiadi moderne e vengono fondati i primi club calcistici (prima in Gran Bretagna e subito dopo altrove).

Come tutti i fenomeni di massa e socialmente visibili, l’universo dello sport può essere considerato da diversi punti di vista: commerciale o economico (per il grande business che genera), politico (come una forma di controllo e canalizzazione degli impulsi irrazionali propri dell’essere umano), sociologico (come scelta di modelli di vita legati al tempo libero o alla salute del corpo). C’è però anche un altro aspetto, relativo all’educazione dei più giovani, niente affatto da sottovalutare come invece è: attraverso lo sport si veicolano valori, si temprano caratteri, si formano personalità.

In Italia, il calcio ha svolto per molto tempo questa funzione: chi non ricorda le partite nell’oratorio, o anche semplicemente i quattro calci al pallone che da piccoli ci concedevamo?
Attorno alla palla calciata affinavamo il nostro spirito di lealtà, imparavamo a controllare il nostro corpo, ci adeguavamo a quelle “regole del gioco” che dovrebbero sempre unire amici e avversari in un superiore spirito di comunità. C’era poi chi, più bravo degli altri, faceva del calcio una carriera, dalle piccole squadre dilettantistiche di provincia ai professionisti dei grandi club. I quali, da tutti riconosciuti, venivano additati come esempi e modelli di gioco e spesso anche di vita.
 

RIBALTAMENTO
Questo tessuto sociale e questa rete comunitaria hanno permesso all’Italia di esprimere grandi club e, come nazionale, di figurare fra le poche nazioni al vertice mondiale dello sport.
Quest’incantesimo da qualche anno sembra essersi spezzato. I nostri club e soprattutto la nostra nazionale sono uscite dal giro maggiore del calcio mondiale. È successo ciò che mai, solo qualche lustro fa, avremmo pensato che potesse succedere: esclusi per due volte dalla fase finale dei Mondiali, eliminati ingloriosamente dagli ultimi Europei da squadre sulla carta molto più deboli della nostra. Questa generale decadenza, alla quale ha fatto seguito un arroccamento deresponsabilizzante delle classi dirigenti sportive, ha però coinciso con un altro fenomeno, che pure solo qualche lustro fa non avremmo immaginato: l’emergere di una nidiata di campioni in sport in cui le vittorie degli italiani, pur memorabili, si contavano in passato sul palmo della mano, rappresentando la classica eccezione che confermava la regola dell’irrilevanza.


L’eclatante caso di Sinner, diventato addirittura il numero uno al mondo nel tennis, non si è rivelato isolato in questo sport un tempo considerato da noi al massimo un passatempo snobistico per classi privilegiate. Dalla Paolini, che ha conquistato la finale di Wimbledon, a Berrettini, a tanti altri campioni, l’Italia si è ormai attestata fra i grandi del tennis.
E che dire dell’atletica leggera ove abbiamo sbaragliato il medagliere agli utimi Europei svoltisi a Roma, maturando credenziali altissime per ben figurare alle prossime Olimpiadi parigine? È stato poi sfatato anche un altro mito: quello di essere una nazione circondata dal mare ma senza campioni nel nuoto? Se Federica Pellegrini ha fatto da battistrada, oggi sono tanti i campioni e le campionesse italiani assisi sui podi maggiori in tutto il mondo. Come interpretare questa “riconversione” dello sport italiano da una dimensione in cui il calcio la faceva da padrona ad una in cui dominano altri sport, fra cui atletica e nuoto, cioè gli sport più classici e vicini alle attività motorie umane principali: camminare, saltare, nuotare?
Interessante è ripercorrere le storie di vita dei nuovi campioni, le esperienze che si sono poi sedimentate nel loro carattere, per lo più schivo e riservato. Quasi sempre c’è un inizio semplice, con qualche genitore che li ha invogliati ad andare in piscina o a iscriversi a un corso di tennis. E poi la passione, le gare, il sano spirito agonistico, le prime vittorie. E una costante: dedizione, sacrifici, perseveranza, l’ambizione di porsi delle mete sempre più alte ma anche di conservare quella giusta umiltà che non ti fa mai staccare i piedi da terra.
 

GIOVANI E VIRTÙ
Valori opposti a quelli che stanno trasmettendo in questi giorni, come da Libero documentato, i calciatori della nazionale, sconfitti agli Europei ma in pieno stravaccamento vacanziero. Ma anche valori che potremmo definire “borghesi”: quelle virtù che hanno fatto grande l’Occidente, come ci ricorda ad esempio nei suoi libri l’economista americana Deirdre McCloskey.
Questi campioni in erba ci fanno capire che i giovani non sono affatto tutti contestatori o fanatici, né aspettano dallo stato sussidi e bonus. Si tratta solo di una minoranza, per quanto rumorosa e insidiosa. Se si vuole costruire nel Paese una controegemonia culturale seria è da questi altri giovani, dai loro valori, che una destra liberalconservatrice deve ripartire.

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