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Milan, perché vincere non è più una priorità

di Claudio Savelli venerdì 16 maggio 2025

3' di lettura

La Coppa Italia avrebbe ammorbidito la sentenza, ma non l’avrebbe di certo ribaltata. Il Milan è stato un disastro in campo perché lo è stato fuori. E questo è chiaro a tutti tranne che ai diretti interessati. Hanno ammesso di non essere soddisfatti ma figuriamoci se mettono in discussione la poltrona. Ci vorrebbe un’esperienza e un carisma che non hanno. Dunque gli uomini di Cardinale rimarranno tutti lì, ai loro posti di combattimento, anche per il Milan che verrà. Un Milan che, in fondo, per la proprietà, non è poi così male. Il motivo per cui il patron americano non entra a gamba tesa nel management del suo club è semplice: l’unica voce in cui il Milan non è un disastro è il bilancio, che è anche l’unica che interessa davvero alla proprietà americana.

Il club viene da due bilanci in utile e potrebbe chiudere quello di questa stagione con un rosso minimo (fossero 10-20 milioni sotto, sarebbe un sostanziale pareggio). In più vanta un’ottima situazione debitoria, il che lo rende solido agli occhi di investitori e interlocutori. Il debito, infatti, non riguarda il Milan bensì il fondo con con cui Cardinale lo controlla nei confronti di Elliott: un cosiddetto vendor loan di cui è stata allungata la scadenza al 2028 con una quota da restituire che si avvicina a 500 milioni. Ma questo al Milan non interessa. La società sta in piedi da sola e ha margine per assorbire i mancati introiti dell’Europa del prossimo anno, dai 60 agli 80 milioni in meno. Basterà vendere uno o due giocatori importanti (Reijnders ha la fila, ma anche Theo Hernandez, Tomori e Leao hanno grande mercato) e generare plusvalenze, tanto non avendo l’Europa potrà mantenere una rosa più corta del normale.

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La fortuna del Milan e dei dirigenti attuali è che un anno non basta per distruggere completamente il patrimonio tecnico, che corrisponde anche a un patrimonio finanziario. La rosa è giovane (lo era già prima di questa gestione) e appetibile sul mercato. Ma non è una condizione eterna. Un paio di anni potrebbero iniziare a pesare, e poi da lì è un attimo ritrovarsi con calciatori che non vuole nessuno, quindi senza valore. Bisogna chiedersi - anzi, bisognerebbe poter chiedere - quali sono i parametri di successo della proprietà. Al momento sembra che i risultati economici interessino di più rispetto a quelli sportivi. Peccato che, a lungo andare, siano i risultati sportivi ad alimentare quelli economici (vedi Inter). Se i risultati mancati in campo avessero compromesso i risultati economici e finanziari, Cardinale probabilmente starebbe varando una rivoluzione interna. E magari si starebbe aprendo una concreta via d’uscita dal club - non a caso si è parlato a più riprese di Aramco, società saudita controllata dal fondo sovrano PIF che avrebbe mostrato interesse. La curva e i tifosi ci sperano ma non si vende un club nel momento di discesa: lo si fa quando è in ascesa. Il tutto ammesso che Cardinale sia davvero interessato alle sorti del Milan. Al momento sembra aver delegato tutto a Furlani. Dunque, chi controlla il controllore? Intanto la curva diserterà la trasferta di Roma di domenica per «lasciare la squadra sola con la sua vergogna». E va bene, ma non è solo il gruppo squadra a doversi vergognare.

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