Un segno della croce dal box nella tribuna del Maradona: così Antonio Conte, squalificato, ha salutato l'ultimo "miracolo" di una carriera da acchiappa-scudetti: il Napoli vince il suo quarto titolo della storia ma lo fa in una maniera nuova, meno spettacolare.
Tutta nervi, grinta e cuore oltre l'ostacolo, il marchio di fabbrica di un tecnico che ha firmato la sua più grande impresa, numeri alla mano, portando una squadra dal decimo posto al primo in un anno. Il 2-0 al Cagliari in un Maradona in estasi, con la vittoria inutile dell'Inter a Como, fotografa la classifica (82 punti gli azzurri, 81 i nerazzurri) e tutta la stagione. La foto tra il tecnico e il patron De Laurentiis, abbracciati e sorridenti, subito dopo il fischio finale non allontana i timori di un divorzio, doloroso e clamoroso. Ma il popolo napoletano ci penserà domani mattina. Forse.

"Sicuramente è stato lo scudetto più inaspettato, difficile e stimolante - commenta a caldo l'allenatore ai microfoni di DAZN -. Venire a Napoli dopo un decimo posto per riprendere tutto, cercando di convincere anche i più bravi a rimanere. Abbiamo fatto qualcosa di straordinario e clamoroso. E' successo di nuovo, è qualcosa di fantastico e bellissimo, oggi è stato davvero difficile arrivare qui, non so quanta gente c'era. I ragazzi sono stati fantastici, non era semplice perché c'era una pressione pazzesca. Siamo davvero contenti, abbiamo fatto un campionato straordinario. Merito di questi ragazzi, soprattutto chi aveva vinto due anni fa e l'anno scorso è arrivato decimo. Deludere questi tifosi sarebbe stata davvero dura, vincere qui è difficilissimo, Giovanni Di Lorenzo e i reduci del primo titolo vuol dire che hanno dei valori importanti. Non capita sempre". Nessuna parola sul suo futuro.
Qualcosa di simile lo aveva fatto 13 anni fa, ai tempi della sua prima Juventus. In quel caso l'aveva ricostruita, qua l'ha rianimata dopo la sbornia-Spalletti e il "coma" depressivo della scorsa sciagurata annata. Quale sarà il suo futuro non si sa. Possibile che nonostante la gioia immensa di una città decida di tornare a Torino, lusingato dalla corte infinita della Signora bianconera. O forse proprio per quella gioia immensa, agguantata come suggello a uno sforzo titanico. E contornato delle solite polemiche, sia pure con tensioni con la proprietà contenute al di sotto dei livelli di guardia per 10 mesi. Il paradosso di De Laurentiis: il padre padrone potrebbe dover ricostruire per due volte di fila dopo due scudetti, causa addio del suo allenatore.
L'impatto di Conte in questa stagione è presto detto: perso Osimhen in estate e soprattutto Kvaratskhelia a gennaio, ha voluto Lukaku al posto del nigeriano e ha ancora una volta avuto ragione lui, sebbene il belga non sia più il tritasassi che proprio Conte aveva esaltato ai tempi dell'Inter. Ha puntato su McTominay, un esubero del Manchester City mai troppo quotato a livello internazionale, come trequartista-ombra, centrocampista tuttofare, di qualità, di quantità, di esperienza e di temperamento. Con ogni probabilità, lo scozzese verrà eletto MVP del campionato, il migliore ruolo per ruolo. Ha ottenuto Buongiorno in difesa, il miglior prospetto della Serie A arrivato a Torino ma a causa di infortuni spesso assente nei momenti decisivi.
Il rapporto con ADL si è incrinato proprio per il mercato, perché a gennaio con Kvara ceduto a Parigi per fare cassa il sostituto è stato individuato in Okafor, panchinaro fisso del Milan e praticamente un fantasma a Napoli. Mentre Neres, giudicato frettolosamente l'erede del georgiano, è di fatto sparito a sua volta. Il tecnico salentino ha così rilanciato ancora una volta Politano, sempre troppo sottovalutato, e soprattutto Raspadori, eterno dodicesimo uomo. Non saranno nozze con i fichi secchi (a centrocampo è "tornato" sì il muro Anguissa, ai livelli del titolo 2023, ma Lobotka è stato spesso alle prese con qualche guaio fisico) ma poco ci manca, soprattutto se paragonato il tutto alla panchina lunga dell'Inter. Ma proprio il clima da battaglia, il ruolo di underdog, di "sfavorito" contro tutto e tutti (a volte, a livello mediatico, anche contro gli arbitri) è stata la molla che ha portato gli azzurri a recuperare il terreno perduto, non mollare quando tutto sembrava portare il titolo a Milano e poi, a sorpasso effettuato, a tenere duro anche con qualche pericoloso scivolone.
Adesso è il tempo della festa infinita, lunga una estate. E del sogno a occhi aperti, che si chiama Kevin De Bruyne, in uscita dal Manchester City. Altro prospetto alla Lukaku e McTominay. Basterà per accontentare Conte, il Re delle missioni impossibili?