Si è fatta tanta confusione, ma alla fine della vicenda sembra che anche questa volta si sia persa un’occasione d’oro per ribadire un principio che a noi sembra sacrosanto: lo sport, così come la cultura, va tenuto il più possibile lontano dalle vicende della politica e dei conflitti fra gli stati. Ma andiamo con ordine. Sabato scorso il Comitato Paralimpico Internazionale (Ipc) aveva emesso un comunicato che aveva destato sorpresa negli osservatori, ma che aveva una sua logica. In esso, in vista dei Giochi Paralimpici Invernali di Milano e Cortina del 2026, si rendeva nota la decisione di revocare la sospensione alla partecipazione imposta a Russia e Bielorussia ai precedenti giochi di Pechino. La misura era stata poi temperata, diciamo così, dal Comitato Olimpico Internazionale (Cio), che ha competenza per le Olimpiadi vere e proprie: a Parigi nel 2024 atleti russi e bielorussi hanno potuto partecipare ma a titolo individuale e sotto bandiera neutrale. Dieci giorni fa il Cio aveva annunciato che quelle stesse condizioni sarebbero restate valide anche per le prossime Olimpiadi invernali italiane: niente divise ufficiali, bandiera o inno; nessuna squadra; nessun atleta; nessun tesserato o sotto contratto con società riconducibili alle forze armate e servizi di sicurezza di Mosca.
Una nota del Comitato Italiano Paralimpico (Cip) aveva poi aggiunto ulteriore confusione, sembrando auspicare un ripensamento anche del Cio per evitare che «posizioni divergenti» trasmettessero «un’immagine negativa al mondo sportivo internazionale». Ieri invece la nota ufficiale del Cio ha confermato la “linea Parigi”. Sulla inammissibilità, in punta di diritto internazionale e di fatto, dell’aggressione russa all’Ucraina questo giornale e chi scrive sono stati chiari fin da quel fatidico 24 febbraio del 2022, quando le truppe di Mosca varcarono i confini di uno stato sovrano e indipendente e dettero inizio alla cosiddetta “operazione speciale”.
Che questo porti però al boicottaggio e alla discriminazione verso la popolazione russa in toto, che nulla c’entra con le decisioni di un governo in mano ad una ristretta oligarchia, ci sembra assolutamente ingiusto ed errato. Anzi, proprio le manifestazioni sportive, nate in età moderna per affermare l’ideale decoubertiano dell’amicizia e fraternità fra i popoli, dovrebbero essere l’occasione per far tastare con mano ai partecipanti e alle opinioni pubbliche l’assoluta inattualità di dispotismi e imperialismi di stampo ottocentesco di cui le prime vittime sono proprio i cittadini comuni. Né sistemi politici democratici, come quelli occidentali, possono scendere allo stesso livello o campo di gioco delineato dalle autocrazie e dagli stati che tendono a sopprimere i diritti individuali.
Russia, giusto far tornare la bandiera ai giochi
Da queste parti siamo tutto meno che dei facili irenisti, sappiamo che i sermoni virtuosi al riparo dalla realtà,...Particolarmente odioso è poi questo atteggiamento quando dalla cultura popolare di massa, a cui appartiene a tutti gli effetti lo sport moderno, si passa alla cultura vera e propria, come numerosi esempi di questi anni hanno purtroppo dimostrato. Ciò per almeno due motivi: la cultura è di per sé universale, non può essere cioè né politicizzata né partitizzata; la Russia ha donato al mondo intero artisti, romanzieri, pensatori, che sono bagaglio ineliminabile della cultura di tutti: tutti saremmo dimidiati se qualcuno ce ne privasse per decreto governativo o per transeunti condizioni storiche. All’inizio del primo conflitto mondiale, non pochi intellettuali tentarono di far scendere nel conflitto la cultura stessa. Ad un Bergson che affermava la superiorità della cultura spiritualistica francese su quella materialistica tedesca, a chi come Croce non aveva perso il senno della ragione toccò il compito di smontare il sofisma e affermare l’alto valore della cultura come portatrice di pace e universalità fra gli uomini. Lo sport non è da meno.