Filippo Pietrangeli ha accolto la stampa davanti al campo che porta il nome di suo padre, Nicola, per l’ultima partita di una vita straordinaria. “La camera ardente sul ‘Nicola Pietrangeli’, al Foro Italico, era il suo desiderio. Aveva vissuto quell’intitolazione come un enorme onore. Enorme perché raro, unico”, racconta Filippo a La Repubblica. “A quanti sportivi ancora in vita era stato intitolato uno stadio, un palazzetto? A quanti nel mondo era accaduto prima?”.
Sul legame di Nicola con la città di Roma, il figlio chiarisce: “In realtà era cittadino del mondo - commenta -. Amava allo stesso modo Roma, Parigi, Montecarlo, parlava tante lingue e insisteva affinché anche noi figli le imparassimo: inglese, francese, spagnolo, russo. Ha avuto una vita incredibile. E una morte dolorosa. Mi piacerebbe dire il contrario, ma non se n’è andato serenamente. Anche se con noi ha sempre cercato di essere positivo, di non farci pesare i suoi dolori”.
Filippo ricorda l’ultimo anno difficile, tra lutti familiari e malattia: “Ha perso mia madre, Susanna Artero, e un figlio nell’arco di 14 mesi. La scomparsa di mio fratello Giorgio, morto di cancro a 59 anni, ha sovvertito le sue certezze. Gli era sempre parso innaturale che un figlio potesse morire prima di un genitore”. Sulla leggenda Pietrangeli e la sua franchezza, il figlio precisa: “Non era assolutamente invidioso di Jannik Sinner. Diceva: ‘Io ho vinto questo, questo e quest’altro. Quando Jannik vincerà questo, questo, questo e quest’altro, lui sarà il numero uno e io il numero due’. Ma non voleva che fosse una gara tra loro. Ha stimato Jannik, gli ha detto quello che doveva dirgli al momento giusto. Se ha scritto un telegramma, non è ancora arrivato”. Insomma, il figlio di Pietrangeli smentisce le indiscrezioni della vigilia, secondo le quali Sinner aveva espresso privatamente il cordoglio per la scomprasa di Piettrangeli.
Infine, Filippo ricorda la carriera e i traguardi del padre: “Il successo su Laver alla finale degli Internazionali d’Italia del 1961 resta speciale. La Davis del ’76 da capitano non giocatore era centrale nei suoi ricordi. Nella bara indosserà la cravatta della Coppa Davis. La tomba sarà semplice, bianca, pulita. Essenziale come una volée, come un ace”. Tra i messaggi più belli “quello di Nadal e del presidente Mattarella. Anche la premier Giorgia Meloni ha usato belle parole”.




