Kylian Mbappé è un Robin Hood sui generis. Non ruba ai ricchi per dare ai poveri, visto che il suo conto in banca non ha mai conosciuto la parola crisi, e in realtà nemmeno ruba, semmai ha preteso dai ricchissimi ciò che gli era stato promesso nei contratti. È però un Robin Hood perché, nella sentenza emessa ieri dal tribunale del lavoro di Parigi, c’è qualcosa che trascende il denaro: c’è la vittoria del diritto sulla ripicca, della professionalità sul feudalismo calcistico. I giudici parigini hanno deciso che il Psg deve sborsare 61 milioni di euro alla sua ex stella per stipendi e bonus arretrati.
Il club potrà fare ricorso, e probabilmente lo farà per principio, ma la sostanza politica della sentenza è una sconfitta netta perla narrazione parigina. Mbappé di fatto ha smascherato la “povertà” del club più ricco del mondo. Non quella economica, ovviamente, ma quella morale. Ha svelato la pochezza di un colosso che, ferito nell’orgoglio dall’addio a parametro zero del suo campione verso il competitor Real Madrid, ha deciso di non pagarlo per pura ripicca. Come un datore di lavoro qualsiasi che trattiene l’ultima busta paga al dipendente dimissionario. Solo che qui il dipendente è una multinazionale e il datore di lavoro ha il Pil (prodotto interno lordo) di uno stato.
A dirlo sono state anche le cifre iniziali della battaglia legale. Mbappé era arrivato a chiedere 263 milioni (inclusi danni morali e «lavoro dissimulato»), mentre il Psg aveva risposto con un risarcimento da 440 milioni, accusando il giocatore di «azione sleale» per aver nascosto la volontà di non rinnovare, privando il club di una potenziale indennità di trasferimento di 180 milioni, la cifra pagata anni prima al Monaco per il suo cartellino. Alla fine, i giudici hanno asciugato il rumore di fondo e sono andati al sodo: il lavoro va pagato. Hanno respinto le richieste accessorie e ordinato al Psg di versare i 61 milioni corrispondenti a stipendi e premi per il lavoro effettivamente svolto. «Siamo molto soddisfatti. È la terza volta che questa condanna viene confermata», hanno esultato gli avvocati dell’attaccante, sottolineando un concetto chiave: «Il calcio non è una zona senza legge». Il club dovrebbe pagare subito, senza aspettare l’ufficiale giudiziario.
«Sarebbe onorevole», chiosano i legali con ironia. Spesso ci lamentiamo dello strapotere dei calciatori verso i club, ma qui siamo all’opposto: il Psg era convinto che i soldi comprassero la fedeltà eterna di Mbappé, nonostante quest’ultimo avesse anticipato che quel prolungamento sarebbe stato l’ultimo. E i contratti, quando si firmano, si onorano. Mbappé ha giocato fino all’ultimo giorno con professionalità. Non ha rubato nulla. Ha solo aspettato che pagassero il conto che loro stessi avevano scritto. Il club che ha inflazionato il mercato mondiale, drogando i prezzi e gli ingaggi per anni, cade vittima della sua stessa pratica. E alla fine il Psg si rivela per quel che è: un riccone con il braccino corto quando le cose non vanno come vuole lui.