Sì. Forse no. Anzi sì, dai. No no, non la facciamo più. Collina dice che gli arbitri asiatici sono bravi quindi la facciamo. Prenotate i voli, si fa. No, alla fine niente. Una commedia all’italiana, non solo per questi continui cambi ma perché nel momento in cui sembrava si facesse, sono cominciati gli autoelogi: i pionieri del calcio nazionale all’estero siamo noi! Nel giro di poco ci imiteranno tutti! E invece no, nessuno lo farà perché Milan-Como non si giocherà a Perth. Saltato tutto. Che poi, il fatto che non si giochi laggiù è tutto di guadagnato per la regolarità del campionato. Il problema è come si è arrivati alla decisione, in ritardo e in modo maldestro, dopo aver anticipato (giovedì scorso per voce del presidente di Lega Simonelli in diretta tv) che l’affare era praticamente fatto.
Nel comunicato congiunto della Serie A e del governo della Western Australia non ci sono scuse verso i tifosi di Milan e Como, bensì un dito puntato contro la Confederazione Asiatica (AFC). Si legge: «I piani per ospitare a Perth la prima partita ufficiale di un Campionato europeo fuori dai confini nazionali sono stati annullati a causa dei rischi finanziari che non è stato possibile contenere, delle condizioni di approvazione onerose e delle complicazioni dell’ultimo minuto al di fuori del nostro controllo».
Se davvero ci sono state richieste dell’ultima ora, allora si tratta di interlocutori poco seri, il cui unico intento era guadagnare soldi sulle spalle della Serie A. Bisognava accorgersi subito della piccolezza dei dirimpettai asiatici, evitando di pronunciare l’idea e di regalare pubblicità a Perth che, sempre si legge, «da aprile ha generato oltre 280 milioni di dollari in termini di visibilità mediatica globale perché la città australiana è ampiamente discussa dai principali media internazionali negli Stati Uniti, nel Regno Unito, in Italia, Indonesia e Francia».
REPUTAZIONE
Si poteva - si doveva - arrivare a questa conclusione prima, molto prima, intuendo la pochezza dell’AFC e proteggendo il nostro prodotto e la nostra reputazione. Invece si è arrivati alla conclusione paradossalmente migliore passando per la strada peggiore. Il presidente Ezio Simonelli ha precisato che, «nell’esprimere rammarico per l’epilogo di questo progetto, continuiamo ad essere fermamente convinti che questa conclusione sia un’occasione persa nel progetto di crescita del calcio italiano a livello internazionale».
Ma le occasioni perse sono quelle che hanno un senso, e questa non l’aveva perché sarebbe venuto meno il primo dovere di un ente organizzatore di un torneo: la salvaguardia della regolarità. Mandare due sole squadre nel punto più lontano del pianeta per giocare una sola partita, una di 380, privando il Milan di una gara in casa e obbligando il Como a farla nettamente in trasferta (anche perché Milano, per la squadra di Fabregas, è piuttosto comoda), era chiaramente un’idea contraria allo svolgimento di un campionato. E peggio è stato il far finta che non era così, azzardando paragoni assurdi come «il giro d’Italia inizia con tre tappe all’estero» (certo, ma le fanno tutti i corridori, non due soltanto).
Dato che il piano B non era pronto - figuriamoci - ora bisogna pure trovare una soluzione alternativa perché l’8 febbraio lo stadio Meazza è occupato dal Comitato Olimpico. L’idea attuale non è l’inversione di campo - che avrebbe senso, visto che Inter-Lecce è fissata il 14 gennaio e il giorno dopo è prevista Como-Milan, che si potrebbe a quel punto giocare a San Siro bensì la riprogrammazione in una di queste date: 17-18 o 24-25 febbraio. Ma non si potrà sapere prima di fine gennaio visto che dipenderà dal cammino europeo dell’Inter e dal suo eventuale playoff di Champions che occuperebbe a sua volta il Meazza. Allora tanto valeva giocarla a Perth? No, quello proprio no.




