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Immigrazione, il ministro greco Keridis: "Chiudere il Mediterraneo"

Carlo Nicolato
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 «Anche noi abbiamo registrato un aumento degli arrivi, così come lo scorso anno rispetto al 2021. Dovrebbero essere attorno i 26/27mila alla fine di questo mese, l’anno scorso ne abbiamo avuti 18mila» spiega a Libero Dimitris Keridis, ministro greco della Migrazione e Asilo. Numeri che fanno invidia se li raffrontiamo con i 130mila immigrati sbarcati in Italia dall’inizio dell’anno. Keridis è ministro da poco, dalla nascita del nuovo governo Mitsotakis dopo le elezioni che ha visto trionfare il suo partito Nea Dimokratia lo scorso giugno, ma ha già dovuto affrontare la crisi dopo il tragico naufragio al largo di Pylos e le polemiche che ne sono seguite.

Insomma ministro, come si spiegano questi numeri così inferiori rispetto all’Italia, tenuto conto che le coste della Grecia non sono certo meno esposte di quelle italiane?
«Non sono così informato sulla situazione in Tunisia, ma di sicuro quello che dobbiamo fare è essere molto vigili nel controllo dei confini ed è quello che la Grecia sta facendo, con il pieno rispetto della legge e delle vite umane, cercando di prevenire arrivi illegali e di combattere il lavoro degli scafisti. In più abbiamo istituito un sistema di centri di accoglienza e procedure d’asilo che ci permettono di trattare e processare le richieste in modo veloce, efficiente e umano, nel rispetto e nella sicurezza di tutti, compresa quella della comunità locale».
In termini assoluti la Grecia sembra meno ambita dell’Italia dagli immigrati, secondo i dati Eurostat lo scorso anno in Italia hanno chiesto asilo 84mila persone contro 37mila in Grecia, ma è un dato che va anche rapportato alla popolazione, per cui alla fine risulta che le richieste d’asilo ogni 100mila abitanti sono state 279, contro le 133 in Italia.

Quante persone ci sono nei centri di accoglienza in Grecia in questo momento?
«Sono circa 25mila, sparse perla Grecia. Nelle isole, principalmente Lesbos e Samos, sono meno di 10mila». La Grecia è stata accusata di non essere troppo accogliente nei confronti degli immigrati, lo scorso anno secondo un rapporto di Aegean Boat sono state respinte oltre 1600 imbarcazioni con a bordo 44mila persone.

Che ne dice?
«Ogni giorno intercettiamo imbarcazioni e calcoliamo grosso modo il numero di passeggeri a bordo per dare un’idea dei nostri successi e dei fallimenti degli scafisti. Di sicuro quest’anno quel numero sarà decisamente più alto».

Quindi è questo il vostro segreto per dissuadere gli arrivi?
«Le barche che gli scafisti usano nell’Egeo sono diverse da quelle usate in Tunisia. Nell’Egeo abbiamo soprattutto piccoli e lenti gommoni perla maggior parte prodotti in Turchia con motori made in China che possono essere usati più o meno solo una volta. Ogni barca contiene dalle 20 alle 40 persone e percorre distanze molto brevi, dalla costa turca alle prime isole. Sono facili da intercettare e respingere. Ci sono anche barche più grandi, perlopiù a vela per quelli che hanno più soldi da spendere, ma sono dirette in Italia. Molte di queste si rompono strada facendo e sono parcheggiate inutilizzabili nei porti delle isole cicladiche o nel Peloponneso».

Quindi per voi sono soprattutto essenziali i rapporti che avete con la Turchia e gli accordi sugli immigrati. Ci sono stati dei passi avanti?
(sospiro) «Le relazioni sono un po’ meglio di come erano prima, ci sono le basi per una cooperazione migliore, oggi per esempio c’è l’incontro tra il premier Mitsotakis e il presidente Erdogan a New York. Personalmente sto cercando di stabilire un dialogo con la mia controparte ad Ankara, ma è troppo presto per dire qualcosa».

Si spieghi meglio.
«Abbiamo avuto delle discussioni preliminari con la Ue e i partner europei per vedere come possiamo riportare la Turchia al tavolo della collaborazione. Erdogan dal 2020 si rifiuta di onorare l’accordo siglato nel 2016 secondo cui deve riprendersi indietro i clandestini che arrivano in territorio greco».

E lo paghiamo fior di miliardi perché lo faccia...
«Infatti, ma non è solo una questione di soldi. Penso che insieme potremmo affrontare meglio la questione, mentre la competizione non giova a nessuno. Ma adesso la situazione non è buona».

Che tipo di collaborazione avete invece con l’Italia?
«Ero a Roma in luglio perla Conferenza internazionale sullo sviluppo e le migrazioni, il presidente del Consiglio Meloni è venuto recentemente ad Atene, parlo regolarmente dell’argomento con il ministro dell’Interno Piantedosi e con lui ci incontreremo a Salonicco in ottobre tra i due consigli Ue per coordinarci meglio sugli arrivi. Non vediamo l’ora di avere una cooperazione maggiore con Roma perla protezione dei nostri confini europei. In ogni caso i rapporti sono eccellenti».

Dopo il naufragio al largo di Pylos lei ha detto che l’Europa dovrebbe fermare gli immigrati prima che arrivino in Europa, nel caso specifico parlava di Libia. Come si potrebbe fare in concreto?
«Le navi devono essere fermate il più possibile vicino alla Libia e fatte tornare indietro. Vicino alla costa, è importante, altrimenti le cose si fanno più complicate. Dobbiamo vedere come fare materialmente, ma soprattutto è importante che ci sia un “approccio olistico” al problema. Se chiudi la rotta a ovest per la Spagna, si apre quella centrale per l’Italia, è tutto connesso. La risoluzione del problema passa perla chiusura concertata di tutte le rotte, da Est a Ovest».

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