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Immigrazione, l'Europa valuta il blocco navale contro gli sbarchi

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Giorgia Meloni tira le somme di due giorni di trattative con gli altri leader europei e si dichiara «soddisfatta». C’è «una forte presenza delle posizioni italiane», dice, nelle undici pagine del documento finale del Consiglio europeo che si è concluso ieri a Bruxelles. I progressi maggiori probabilmente li ha ottenuti sul fronte dell’immigrazione, ovvero sul controllo dei confini esterni dell’Unione e sulla necessità di stringere intese con i Paesi di provenienza e di transito. Tutti i leader Ue, ha spiegato, «sono d’accordo sul fatto che nuove risorse devono essere destinate a questo capitolo».


Il fatto che il terrorista islamico tunisino che dodici giorni fa a Bruxelles ha ucciso due tifosi svedesi fosse sbarcato a Lampedusa nel 2011 ha lasciato il segno, e adesso nessuno contesta la tesi del governo di Roma secondo cui l’immigrazione incontrollata aumenta il rischio di far entrare altri jihadisti nel continente. Così nel capitolo del documento dedicato ai migranti si parla anche di terrorismo, e si fa riferimento alla lettera che Ursula von der Leyen ha inviato ai leader europei nei giorni scorsi.
In quel documento la presidente della Commissione ricorda che la rotta che interessa l’Italia, quella del Mediterraneo centrale, è anche quella che ha registrato il maggior aumento di arrivi, e spiega che occorre rafforzare le frontiere esterne, prevenire le partenze irregolari, combattere i trafficanti ed aumentare i rimpatri. In più, avvisa che «la priorità dovrebbe anche essere quella di stabilire una partnership strategica con l’Egitto», Paese che la Ue ha «la responsabilità di sostenere». Il memorandum di luglio con la Tunisia è indicato come «un chiaro esempio» di ciò che bisogna fare con altri Paesi. Posizioni che ricalcano le richieste di palazzo Chigi: quella lettera, commenta infatti Meloni, «è l’attuazione pratica di una strategia fortemente promossa dall’Italia, una cosa che oggettivamente era impensabile un anno fa».

LA SOLUZIONE
L’obiettivo finale della premier è sempre quello di creare un «blocco navale» europeo nelle acque dei Paesi nordafricani, «perché se si fa in acque internazionali diventa un “pull factor”, se si fa in acque nazionali si può fare un lavoro serio». Von der Leyen propone di usare per questo la missione militare Irini. Lanciata nel 2020, ha lo scopo principale di far rispettare l’embargo alla vendita di armi in Libia; la presidente della Ue vorrebbe ora ampliarne i compiti, dando priorità alla lotta contro il traffico di esseri umani nel Mediterraneo, anche tramite un rafforzamento della sorveglianza aerea. Ipotesi che Meloni non esclude: «La missione Irini potrebbe essere estesa», dice, «ma ciò comporta un lavoro lungo e faticoso che prevede accordi di cooperazione con i Paesi nordafricani». Senza i quali, peraltro, nessun blocco navale sarebbe possibile in quelle acque.

 

Per quanto riguarda Israele, la linea dell’Italia e di altri ha avuto la meglio su quella della Spagna guidata dal socialista Pedro Sánchez, il quale voleva schierare la Ue in favore di un «cessate il fuoco» che sarebbe stato l’ ennesimo favore ad Hamas. Oltre a condannare l’organizzazione palestinese «nei termini più forti possibili» per i suoi atti terroristici, il documento dei capi di Stato e di governo europei «sottolinea con forza il diritto di Israele a difendersi» e «ribadisce l’appello ad Hamas affinché rilasci immediatamente tutti gli ostaggisenza alcuna condizione».

Sull’altro scenario che preoccupa Roma, quello tra Serbia e Kosovo, Meloni si muove insieme al tedesco Olaf Scholz e al francese Emmanuel Macron. A Bruxelles i tre hanno incontrato il primo ministro kosovaro Albin Kurti e il presidente serbo Aleksandr Vucic, facendo pressione su di loro affinché normalizzino le relazioni tra i due Stati. E ieri, in un comunicato congiunto, hanno chiesto al Kosovo «di avviare la procedura per la creazione dell’associazione dei Comuni a maggioranza serba» e alla Serbia «di procedere al riconoscimento de facto» dell’indipendenza del Kosovo, che nel 2008, con un gesto uniterale, si separò da Belgrado.

 

 

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