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Coronavirus, Fase 3: Cremona prova a ripartire dai suoi violini

Cremona, 18 giu. (askanews) - Durante la fase cruciale della pandemia di Covid-19 in Italia, è stato il violino suonato dall'artista Lena Yokoyama dal tetto dell'ospedale di Cremona a infondere coraggio alla città tra le più colpite dal coronavirus nel nostro Paese.

Oggi, Cremona, culla della musica e patria di Stradivari, prova a ripartire proprio da quelle note e dai violini che prendono vita nelle botteghe dei suoi liutai, rendendo felici musicisiti e appassionati di tutto il mondo, anche se è una professione che con il tempo tende a sparire, come raccontano Stefano Conia e Marco Nolli.

"Senza costruire i violini per me la vita sarebbe come finita - ha detto Stefano Conia - io tutti i giorni sono qua, è un antibiotico per la vecchiaia".

"C'è una frase - ha aggiunto Marco Nolli - che dice 'Nemo propheta in patria', nessuno è profeta nella propria Patria e noi qui a Cremona, come liutai cremonesi ormai siamo davvero in pochi. Diciamo che la percentuale sarà più o meno del 30% italiani e un 10% cremonesi".

Il vero nemico dei liutai cremonesi, ora, è la concorrenza che mette sul mercato strumenti scadenti a prezzi ridicoli contro i 25mila euro minimo del costo di un violino costruito all'ombra del Torrazzo. Un appello arriva da Giorgio Grisales, presidente

dei liutati cremonesi.

"Questa tradizione - ha detto - sopravviverà se chi comanda, chi ha le redini di questo Paese e di questa realtà economica nazionale, si renderà conto che Cremona come il resto d'Italia è un Paese di produttori e di artigiani".

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