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Pif, "Boat" e il viaggio nelle vite deragliate

Francesco Specchia
Francesco Specchia

Francesco Specchia, fiorentino di nascita, veronese d'adozione, ha una laurea in legge, una specializzazione in comunicazioni di massa e una antropologia criminale (ma non gli sono servite a nulla); a Libero si occupa prevalentemente di politica, tv e mass media. Si vanta di aver lavorato, tra gli altri, per Indro Montanelli alla Voce e per Albino Longhi all'Arena di Verona. Collabora con il TgCom e Radio Monte Carlo, ha scritto e condotto programmi televisivi, tra cui i talk show politici "Iceberg", "Alias" con Franco Debenedetti e "Versus", primo esperimento di talk show interattivo con i social network. Vive una perenne e macerante schizofrenia: ha lavorato per la satira e scritto vari saggi tra cui "Diario inedito del Grande Fratello" (Gremese) e "Gli Inaffondabili" (Marsilio), "Giulio Andreotti-Parola di Giulio" (Aliberti), ed è direttore della collana Mediamursia. Tifa Fiorentina, e non è mai riuscito ad entrare in una lobby, che fosse una...

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Una visita a Pianosa Foto: Una visita a Pianosa
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Vedere Pif prima perdersi nell'abisso senz'anima degli spot Telecom come nel Maelstrom di E.A.Poe; e poi vederlo riapparire in Boat (Dee Jay Tv, lunedì prime time) nelle vesti di star starter, di introduttore di racconti socialmente utili; be', m'induce un lieve senso di spiazzamento. Ma tant'è. Pif è un rompimichia di talento, possiede il tocco del grottesco messo al servizio della denuncia civile. Alle volte sbraca, ma comprendo le questione alimentari. Questo suo Boat (acronimo: sta per «based on a true story», basato su una storia vera, vite di «personaggi, sorprendenti, romantici, un po' folli», dice Pif) consiste in un un ciclo di 5 docu-racconti inediti estremamente toccanti, emotivi talora fino all'esagerazione. Una specie di scenario balzachiano sulle frattaglie della realtà. Mi sono visto quello dedicato all'«Hotel Pianosa» con Pif in bici e poi affondato in una poltrona rossa tra le celle aperte (cercate il simbolismo...) che si sperticava in un prologo sull'Ucciardone e sul carcere minorile di Malaspina «dove devi ricomiciare da zero e dove le regole non sempre ti rendono migliore». Poi sono partite le storie di Pianosa. Ossia dell'unico esperimento europeo di prigione trasformata in albergo e luogo di lavoro e di speranza per i detenuti beneficiati dall'art. 21. C'è il barbuto Alessandro, panificatore che godeva nel manipolare le michette calde come il pongo e che ora fa il falegname raccogliendo tronchi sulla spiaggia. C'è Luigi ergastolano dai primi anni 70. C'è Rachid, condannato ad omicidio a 30 anni che racconta la sua vita, amori compresi in modo tranquillo e innaturale. C'è Domenico, condannato a 25 anni con un figlio di anni 22 che gli ricorda tanto la figlia di un agente giudiziaro con cui lavora in albergo. C'è Giulia, la direttrice della cooperativa che cerca di affidare a tutti un futuro migliore. La telecamera si muove tra edifici delabrè, sorrisi sgualciti, partite a pallone con ragazzini che indossano la maglia numero 10 di Miccoli, strani affreschi simil-michelangioleschi che descrivono detenuti con la palla al piede alla ricerca di un qualunque Dio delle libertà. Gli altri episodi di Boat sono sull'amore tra transgender bolognesi e sulle emittenti tv anni 80. Trattasi di reportage ben fatti, anche se un po' ad ideologia unica. L'unico elemento pleonastico, forse, è proprio Pif che fa il cantastorie, sprecando la sua vena narrativa trasversale...

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