di Gianluigi NuzziAdesso capisco tante cose. Adesso che i media svelano la storia del Grande Orecchio in Vaticano, di intercettazioni a tappeto su email e cellulari, oltre le mura leonine, capisco le paure a parlare, confidarsi, condividere. Di tutti: dal cardinale all’ultimo impiegato. Capisco quei mille approcci vissuti in questi anni inseguendo da giornalista piste sugli affari tra fede e denaro. Persone che si fanno vive in parte intimorite. Con pseudonimi, anonimi, interfaccia, mediatori ma mai di prima persona. Che quando parlano si guardano in giro, alle spalle, come latitanti braccati. Cercano luoghi defilati, fuorimano, isolati, controllabili. Sussurrano parole lente, accuse. Annuiscono solenni alle tue espressioni di disgusto. Da una parte la gran voglia di bucare con lo spillo della conoscenza la cappa di omertà e di silenzio. Dall’altra la paura di finire emarginati, perseguitati, messi al bando. Adesso capisco quando un laico importante consulente del Vaticano mi ripeteva, magari esagerando, che «Bertone lancia le fatwa. Se non sei con lui, sei contro di lui. Se parli bene di qualcuno caduto in disgrazia anche tu cadi in disgrazia. Ed è la fine». Questo consulente è andato contro un blocco di potere che Bertone ha costruito negli anni da segretario di Stato, nei dicasteri, nei dipartimenti nevralgici della Santa Sede. Ed è finito polverizzato. Oggi scopriamo che Bertone aveva disposto il controllo capillare di telefonate e email in Vaticano, durato mesi, settimane. Forse anni. E tutto ciò ci dovrebbe far capire come nello Stato Città del Vaticano, monarchia assoluta, ci siano due parole che valgono quanto, e più, che in ogni paese moderno: informazioni e sicurezza. Il flusso delle informazioni è costante. Si articola su diverse ragnatele che raccolgono e riportano alla Santa Sede quanto accade. A iniziare dalla rete diplomatica nel mondo che condivide con la segreteria di Stato ogni criticità del Paese ospitante e della comunità cattolica locale. I dati si arricchiscono poi attingendo alle numerose banche dati dove vengono raccolti fascicoli tematici su questioni rilevanti per il Vaticano, su soggetti, movimenti, argomenti, questioni aperte, conflittualità. Il cuore pulsante di questa rete è «l’ufficio cifra» della Segreteria di Stato che cripta e decripta le centinaia di messaggi appunto top secret che arrivano e partono dalle nunziature. Il lavoro di analisi avviene in più uffici della segreteria di Stato e di settori della sicurezza vaticana. A seconda della criticità, del rilievo, e dell’argomento trattato. L’ufficio cifra è inaccessibile ai non addetti. Ci sono badge e chiavi d’ingresso particolari. Come un altro centro di ascolto attivo che riguarda una sorta di Echelon virtuale, una macchina capace di analizzare secondo parole-chiave il grande traffico sulla rete. Individua tutti i messaggi, gli interventi, i blog, ogni espressione virtuale che contenga determinate parole. Compatta e seleziona poi la ricerca che serve per stilare analisi che risalgono la gerarchia. Tutto ciò si integra alle investigazioni preventive e giudiziarie operate dalla gendarmeria vaticana che non solo è guidata da un ex appartenente ai servizi segreti italiani, Domenico Giani, ma che con settori dell’intelligence italiana vanta consolidati rapporti. Certo, la relazione tra Giani e Niccolò Pollari, l’ex capo del Sismi, il servizio segreto militare, era pessimo ma si tratta di acqua passata, soprattutto con i governi Berlusconi prima e Monti oggi in Italia, la piccola monarchia ha potuto contare su solide entrature nei sistema di sicurezza e in settori delle polizie italiane. «Affari riservati» - Una questione, appunto di sicurezza, che è l’altro grande cruccio interno. Nel piccolo Stato ci sono più telecamere accese su ogni strada e portone che a Montecarlo. Nel principato della costa azzurra ogni movimento all’aperto finisce così tracciato da più «occhi». In Vaticano le recenti ultramoderne telecamere - assicurano alcune fonti - avrebbero capacità di ripresa fenomenali, impensabili. Tutti i filmati e il grande occhio rimanda i fotogrammi nella sezione che potremmo chiamare «affari riservati» della gendarmeria vaticana, la polizia interna. Questa sezione non è molto conosciuta. Perché anche qui l’accesso agli uffici è vietato a gran parte degli stessi gendarmi. Esclusi i pochi e selezionati pubblici ufficiali, di assoluta fiducia, del comandante Giani. E quando non si conosce la verità, si rischia di dar credito alle favole. Come quella che indica nelle capacità tecniche di queste telecamere anche quella di potenti zoom in grado di ingrandire le labbra dei soggetti inquadrati al punto da poterne leggere il labiale. Scienza, mitologia o fantascienza? Difficile dirlo. Di certo se non è vero di poco ci si allontana dalla realtà visto che i sistemi di sicurezza, perimetrali e informatici, negli anni si sono perfezionati con la consulenza anche di esperti privati provenienti da Paesi extraeuropei come Israele. La sicurezza non è dovuta solo ai misteri della fede ma anche a evitare fughe di notizie incontrollabili. Bisogna quindi gestire qualsiasi scandalo, smorzandone la diffusione in anticipo. Così per capire le devianze della Curia tocca a tutti noi salire sulla macchina del tempo ed essere proiettati in sistemi antichi, feudali, come della tirannide, del potere. Ne ho avuto percezione netta una volta proprio chiacchierando con Paolo Gabriele, il maggiordomo del Papa. Si parlava di Curia e lui descrivendomi le gesta di un cardinale mi aggiunse: «E poi ha quel vizio…», facendo come spallucce, rilevando una debolezza, niente di più. Il tono era proprio quello di quando qualcuno ha il vizio di fumare qualche sigaretta di troppo, o un calice di vino in eccesso. Lo guardai curioso, «ma sì… gli piacciono i ragazzini», mi disse passando oltre. Senza soffermarsi sull’enormità del fatto. Come fosse normale, consueto, appunto. Come se fosse qualcosa di diffuso o di una certa anche rara normalità, tollerata e non un’abitudine spaventosa che trasforma in ergastolani degli innocenti. L’inversione della realtà è del resto una variante diffusa. Basta affidarsi ai dettagli e decifrare. Ior e concordato - Provate a chiedere cosa si pensa in Vaticano di Paul Casimir Marcinkus, il presidente della banca del Papa, lo Ior dei traffici degli anni ’80 con il banchiere Roberto Calvi, ucciso e fatto ritrovare sotto il ponte dei Frati Neri a Londra e le «ingenti somme riciclate» della mafia siciliana come appurarono proprio i giudici della Corte che si occuparono dell’assassinio di Calvi. Il più critico e severo degli intervistati risponderà al massimo che venne tradita la fiducia di Marcinkus, ritagliando per lui così il ruolo di vittima. Mentre altri non si tireranno indietro e ne ricorderanno la statura, le gesta e la generosità: «Marcinkus dava da bere agli operai assetati che vedeva lavorare sui ponteggi dei palazzi in ristrutturazione in Vaticano». Così questo è un Paese dalle apparenti contraddizioni: Marcinkus e due tra i suoi più stretti collaboratori nel 1987 evitarono l’arresto chiesto dalla magistratura italiana nella bancarotta del banco Ambrosiano. Lo Ior dove i tre lavoravano venne considerato un ente centrale del Vaticano. Grazie a questa dizione è respinta qualsiasi richiesta d’arresto. Infatti, si applica il Concordato, ovvero quello storico accordo tra Italia e Santa Sede. Passano gli anni e Paolo Gabriele viene invece messo in carcere per aver fotocopiato dei documenti del Papa. Carte su scandali, su fatti che oggi tornano al centro del dibattito sulle dimissioni di Benedetto XVI. Storie vecchie mai chiarite, storie nuove che a lungo aggiungeranno altri misteri, altri interrogativi destinati a restare senza risposta. A meno che dal conclave non arrivi un segno preciso di voler chiudere con questo passato di intrighi e potere, di una visione geometrica della sicurezza, delle informazioni priva di quella profondità magari attesa, sperata. Un segno di continuità con le riforme di Benedetto XVI, con quelle, soprattutto, mai intraprese o lasciate a metà. Come, ad esempio, la riforma della Curia romana. Che invece, con questo pontefice, sembra quasi essere divenuta ostacolo al pontificato stesso. Giovedì in piazza San Pietro l’uscita del Papa dalla sua casa, il trasferimento in elicottero è stato addolcito dall’immensa commozione del mondo cattolico, dalla capacità mediatica di addolcire il trauma, tra brevi discorsi, il suono delle campane, la commozione della folla. Ma da domani inizia il conto alla rovescia. Il conclave saprà raccogliere l’eredità pesante lasciata dal Papa con questo suo rivoluzionario gesto? Ogni pronostico verrà puntualmente smentito dai fatti visto che dagli studi sui conclavi quasi mai sono state rispettate le attese e le previsioni fatte prima dell’inizio dei lavori dei cardinali. gianluigi.nuzzi@la7.it