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Debito pubblico, Matteo Renzi ci costa sei milioni di euro all'ora

Lucia Esposito
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La bacchetta magica di Mario Draghi non ha perduto il suo potere. È bastato che ieri, a Washington, il presidente della Bce, abbia ribadito la sia volontà di «attuare pienamente» il piano di acquisti di titoli da parte della banca di Francoforte, per interrompere la corsa al rialzo dell'euro, che sta minacciando da vicino la lotta contro la deflazione. Ma resta il fatto che, come gli ha detto ieri Christine Lagarde, direttore generale del Fondo Monetario, «il tuo lavoro, Mario, è uno dei più difficili del mondo». Anche perché le riforme, che il banchiere invoca in ogni suo intervento, avanzano nei fatti a passo di lumaca, quando avanzano. A ricordarcelo, come ogni mese, è stato l'aggiornamento dell'ammontare del debito pubblico italiano contenuto nel supplemento statistico del Bollettino Economico della Banca d'Italia. A fine dello scorso marzo il debito pubblico italiano è salito di altri 15,3 miliardi, a 2.184,5 miliardi ritoccando verso l'alto il record di febbraio, quando il totale aveva superato il massimo storico registrato nel luglio 2014 (2.167,7 miliardi). Nel marzo del 2014, mese di insediamento a palazzo Chigi di Matteo Renzi, il passivo era pari a 2.119,471. Cifre enormi, difficili da metabolizzare. Per avere un ordine di idee più umano, proviamo a scomporre il dato. Il debito pubblico è cresciuto nei 13 mesi del governo Renzi di 65 miliardi e 1 milioni, il che equivale a 5 miliardi al mese, ovvero 165 milioni di euro al giorno. O, se preferite, 6,83 milioni all'ora, sia di giorno che di notte, 110mila euro al minuto: ogni secondo che passa gli italiani aggiungono, di questo passo, 1.833 euro al loro debito. Non è difficile spiegare la ragione di questa frana, che non accenna a rallentare. Nonostante l'Italia vanti uno dei fabbisogni primari, cioè al netto degli interessi, migliori tra i Paesi avanzati, dobbiamo fare i conti con gli interessi sul debito che ci riportano in terreno negativo. Anche quest'anno, nonostante la minor mole degli interessi sul debito (grazie all'intervento della Bce) il passivo peggiorerà. E lo stesso accadrà anche nei prossimi due anni, se si rivelerà esatta la profezia del ministro Gian Carlo Padoan, che promette l'azzeramento del rapporto debito/pil a partire dal 2018. Già, perché il dato più significativo non è tanto l'ammontare assoluto del debito (nel mondo solo la Germania persegue l'obiettivo di abbassare il valore assoluto del passivo) ma il suo rapporto con la crescita. E secondo i calcoli di Padoan la zavorra dell'indebitamento tenderà a scendere grazie al miglior tasso di crescita. Per ora, però, il rapporto debito/pil saluta nuovi massimi: quest'anno si arriverà al 132,5%, preceduti solo dalla Grecia. Ma dall'anno prossimo, è la promessa del governo, la lancetta finalmente tornerà verso il basso: 130,9% nel 2016, fino a 123,4 nel 2018, l'anno magico in cui si scenderà al 123,4%, comunque ben al di sotto dei valori registrati prima della crisi. Quale sarà l'arma segreta? La crescita, promette il governo agitando il rimbalzo del pil nel primo trimestre di quest'anno. In realtà, in cifre assolute, il prodotto interno lordo si è attestato tra gennaio e marzo a 385.252 milioni contro i 405.402 milioni del primo trimestre 2011. Se andiamo a rivedere i conti del secondo trimestre 2014, il primo sotto la guida del governo Renzi, la cifra ammonta a 384.564 milioni. Insomma, nonostante l'iniezione di liquidità da parte della Bce, la macchina della crescita non si è affatto mossa. E così, nonostante il consistente taglio dei tassi sul debito, la condizione della finanza pubblica continua a peggiorare. Certo, non si può imputare al premier un problema secolare aggravato dalla politica recessiva praticata su imposizione tedesca. Ma non si può tacere il fatto che la Spagna del conservatore Mariano Rajoy vanta tassi di crescita ben più rilevanti, nonostante i vincoli posti da Bruxelles. Merito di riforme attuate piuttosto che annunciate, dalla riforma del lavoro alla bad bank, pur decisiva per rilanciare il credito alle piccole e medie imprese. Certo, qualcosa si è fatto ma troppo poco perché, come ha detto ieri Draghi, dopo 7 anni di crisi, le aziende e i privati sono esitanti nell'assumere rischi economici. «Per questa ragione - ha concluso - occorrerà diverso tempo prima che possiamo dichiarare il successo e il nostro stimolo di politica monetaria rimarrà in atto fino a che sarà necessario». Nel frattempo, ogni giorno che passa ci costa 165 milioni di debito in più. Ugo Bertone

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